domenica 21 luglio 2024

Mietitura e trebbiatura '24

Quest'anno la mietitura non è stata un successo, l'avena è stata colpita dalla ruggine e nemmeno un tempestivo trattamento a base rame l'ha salvata, ma d'altro canto si sa per questo cereale devo andare bene i tempi e non il terreno.

Altra triste sorte è toccata al fumento che non appena maturato, mentre le spighe erano ancora verdi, è stato spazzato dagli uccelli, anche se devo ammettere la voracità che hanno quest'anno non l'avevo mai vista, stanno spazzando ogni coltura.

All'orzo invece è andata bene, è venuto su bene, con spighe piene, senza essere affette da stretta o da qualche malattia fungina. Oltre a ciò si è salvato dalla fame dei volatili, alla fine è un cereale vestito e fa poco gola.

Orzo in piena fioritura ad aprile

Altra particolarità di quest'anno che mi ha un po' sorpreso è che avendo anticipato la semina di venti giorni rispetto al solito, anche la maturazione si è anticipata (ovviamente). Infatti, a fine maggio l'orzo era pronto per essere mietuto, mentre il fumento terminava la sua maturazione.
Covoni di orzo
Comunque con il grano e l'avena andati in malora, mi sono consolato con l'orzo. I primi giorni di mietitura sono stati duri, poiché non ero abituato. Mentre il terzo giorno subii una brutta battuta d'arresto, in quanto durante la notte e tutta la mattinata seguente piovve, bagnando tutto. Con mia grande sorpresa l'orzo raccolto in covoni si bagnò di meno, rispetto a quello rimasto in campo aperto, andandosi poi ad asciugare più velocemente.
In totale mi ci vollero quattro giorni di mietitura, poi uno per far seccare meglio le spighe. Infine, passai alla trebbiatura durata altri due giorni, dove battevo, con la mia solita mazza, le spighe belle calde su di una tela, per facilitarne la successiva raccolta.
Orzo lavato e messo ad asciugare
Poi terminata questa fase, ho provveduto a vagliare il cereale separandolo da paglia e le pagliuzze della spiga. Come sempre per ottenere una migliore pulizia ho lavato l'orzo, per eliminare gli ultimi residui e la terra, ottenendo così un prodotto pulitissimo.
La resa, un po' scarsa, si attesta a 41.7kg  di cereale (dovevano essere 60.0kg), di cui 3.1kg sono stati raccolti a parte per la semina del prossimo anno, selezionando durante la mietitura le spighe più sane e dai chicchi più grossi.





Le informazioni presenti su questo blog sono a scopo informativo, quindi mi esento da qualsiasi responsabilità per i danni che potreste causare.

domenica 7 luglio 2024

Grape Ale e IGA

Cosa succede se come frutta per una birra si usa l'uva? Dalla loro unione nasce la Grape Ale, anche se il vanto iniziale è tutto italiano con la IGA (Italian Grape Ale).

Scoprì questo connubio nel 2018, agli inizi della mia carriera da homebrewer, quando m'imbattei in un articolo dell'"Informatore Brassicolo" e ne rimasi affascinato, ibrido tra birra e vino, è una sotto categoria delle birre alla frutta che meglio si confà all'Italia.

Ma la nascita dell'IGA rimanda al 2006 quando un birrificio sardo, Barley, decise di arricchire la sua Imperial Stout con della sapa di Cannonau, vitigno tipico della regione, il quale prese il nome di BB10°. Questa fu il trampolino di lancio per tutta una serie di birre sue, come BB Evò (2009), una barley wine fatta con sapa di Nasco; BB9 (2012), un'amber ale arricchita con sapa di Malvasia; e BB Boom (2015), sempre amber ale, ma con sapa di Vermentino. Che nel tempo si sempre aggiunte tante altre, le quali ormai sono un marchio di fabbrica di questo birrificio.

L'onda dell'IGA fu subito cavalcata da diversi altri birrifici, infatti, abbiamo nel 2010 "L'equilibrista" di Birra del borgo, dove ad una birra di loro produzione (Duchessa, una saison fatta con il farro) è stato aggiunto fino al 50% mosto di Sangiovese. Poi nel 2013 il birrificio Limes, creò Brùton, un'IGA dalla carbonatazione spumantina fatta con mosto di Vermentino. E insieme a loro tanti altri birrifici.

Questo stile ebbe così successo che nel 2015 venne riconosciuto e inserito nel BJCP, nella sezione 29, quella delle birre alla frutta. Un bel vanto tutto italiano, se non fosse che anche gli altri stati produttori di viti (e vino) ne reclamarono lo stile e nel 2021 quel posto è stato preso dallo stile Grape Ale, con il codice 29D, sempre della categoria delle Fruit Bier. Andando ad eclissare un po' lo stile IGA, alla quale è stata assegnato un nuovo codice X3, nella sezione degli stili locali.


Birra base

Come con una birra alla frutta, la prima cosa da scegliere è la base, e un po' ci si rifà ai punti visti in precedenza:
  • il migliore stile al fine di equilibrare il corpo è quello di una birra di frumento, ma se si vuole ottenere qualcosa di secco che emuli un po' uno spumante vanno bene stili come pilsner o saison. Quindi si andranno ad impiegare malti base chiari, con al massimo l'aggiunta di qualche malto caramellato per far sentire un po' l'aroma maltato, soprattutto se vi vanno ad impiegare uve a bacca bianca. Infatti, con quelle a bacca nera, si può osare di più, come accentuare il colore con malti base più scuri (vienna e monaco) o qualche malto più tostato. Sempre facendo attenzione a non coprire troppo il contributo dell'uva. In aggiunta si possono usare altri cereali come frumento o farro, maltati o crudi, al fine di dare corpo alla birra;
  • la luppolatura non deve essere invasiva soprattutto nel caso in cui s'impiegano uve bianche, quindi è preferibile usare luppoli nobili, con note floreali o terrosi e non citriche, in modo da accompagnare quelle dell'uva senza coprirle. Come pure l'amarezza va bene non superare rapporti BU:GU di 0.5;
  • il lievito da impiegare, come con le birre alla frutta, deve essere neutro o leggermente fruttato. In questi casi possono anche utilizzare lieviti enologici, visto che si ha a che fare con dell'uva. Oppure sfruttare quelli naturalmente presenti sulla buccia, andando così ad avere un prodotto a fermentazione spontanea, ma che necessita di maggiori cure ed accortezze, spesso questa tende ad essere chiamata Wild IGA o Sour IGA, per via delle caratteristiche brett ed acide della fermentazione spontanea. Per chi non è pratico con questa fermentazione, può impiegare lieviti brett, per dare un po' di funky e accentuare il lato vinoso di questo stile.

Uva

Qua come sempre ci si può sbizzarrire, il territorio italiano ha una lunga tradizione enologica, con migliaia di vitigni. Non ché la versatilità con può essere impiegata in diversi modi. Quindi scelta la base della nostra birra, bisogna vedere come unirla alla nostra uva:
  • quale uva usare? Prima cosa da sceglie è il vitigno che si vuole impiegare, anche se visto che ogni regione ne vanta uno tipico di essa, si può partire da essa;
  • come aggiungerla? Qua si che ci si può sbizzarrire. Si può partire da uva al naturale o pigiata intera, proprio come con il vino, ed avere il massimo del suo contributo. Oppure si può usare il mosto come: il mosto muto, mosto appena pigiato il quale non ha ancora fermentato o che ne è stata bloccata la fermentazione; mosto fermentato, mosto che ha subito la completa o parziale fermentazione con o senza le bucce e che quindi si porta con se la componente selvatica; e il mosto cotto, cioè mosto muto che ha subito un trattamento di concentrazione fino a ridurlo a 1/3 del volume iniziale, in pratica è uno sciroppo d'uva, ottimo per arricchire stili molto alcolici. Un'altra forma che si può impiegare è quella delle bucce pigiate, in questo modo il si ha solo un contributi aromatico/fenolico e del colore da parte dell'uva. Infine, ci c'è l'uva appassita, un uva che ha subito un processo di essiccamento al fine di alzare il suo grado zuccherino e ottenere un vino più forte, da usare intera o solo il mosto derivatone;
  • quando aggiungerla? Come sempre il miglior momento è a fine fermentazione oppure prima di essere imbottigliata, se si usa il mosto. Ma ad inizio fermentazione va anche bene, in modo da abbreviare i tempi di fermentazione. Qua si può fare l'aggiunta a fine bollitura in modo da avere l'occasione di pastorizzare il tutto. Poi sta a noi se si vuole condurre una fermentazione selvatica o addirittura spontanea;
  • quanta aggiungerne? Come sempre la regola massima e di non superare il 50% dei fermentabili, infatti, molti produttori impiegano fino ad un massimo del 40% di mosto aggiunto. Mentre di uva intera, come sempre una buona base di partenza sono i soliti 100 - 200g/l, sta tutto al birrario constatare il contributo dell'uva per calibrarne le aggiunte.

Conclusione 

Alla fine i due stili non cambiano molto tra loro, anzi sono lo stesso stile. Ma la IGA deve essere prodotta esclusivamente in Italia, per essere tale. Mentre al di fuori di essa si hanno le Grape Ale.
Come caratteristica principale è che devono combinare sia quelle di una birra che di uno spumante, quindi malto e luppolo devono essere equilibrati insieme all'uva, non devono coprire l'altro. Infatti, al naso bisogna percepire delle note vinose, accentuate, se presenti, da quelle brett. Mentre il sapore può variare in base all'uva usata, si va da note di frutta bianca (pesca, albicocca) date appunto dalle uve bianche, a quelle di frutta rossa (ciliegia, mirtillo) per le uve nere.
La colorazione come sempre dipende molto dal tipo di uva impiegata, quindi si va da un a giallo carico a un ramato, ma ci si può spingere al marrone. Una carbonatazione medio-alta, corpo medio-leggero e un'acidità che ne incrementa la secchezza.
Un grado zuccherino iniziale è relativamente altro, dato dal grande contributo zuccherino dell'uva o del mosto, il quale porta ad avere un buon tasso alcolemico per via un'alta attenuazione.
Quindi non resta che sbizzarrirsi, soprattutto perché abbaiamo uno stile tutto nostro.





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