Birra e frutta nei secoli si sono scontrati e uniti in diverse occasioni, ma in Europa, soprattutto presso gli stati maggiormente produttori di birra (Germania e Inghilterra) quest'unione non era ben vista; perché le bevande nate dalla fermentazione di frutta erano viste minori al vino, quindi basta immaginare come veniva vista qualcosa nata dall'unione di frutta e malto. Ricordiamo, però che in passato la birra veniva prodotta in casa, dove ognuno aggiungeva quello che aveva a disposizione, oppure quello che era tipico di quelle regioni. |
Sorbus aria (L.) Crantz, © 2007, Beat Bäumler – La Rippe (VD) |
Tant'è che si hanno testimonianze storiche, da parte di Virgilio, che i Galli aggiungessero farina di sorbe (sorbus aria o aria edulis), per migliorarne il sapore. Anzi lo stesso sidro nasce dalla parola ebraica shekar, che stava ad indicare una bevanda forte fatta con diversi tipi di frutta fermentata, da cui poi si è affermato l'uso delle mele, ma la sua radice è accadica, shikaru, che sta ad indicare una birra d'orzo.
In Europa l'unico popolo che ha spesso accostato la birra alla frutta sono i belgi, con i vari lambic, come il kriek e il framboise. Essenzialmente birre di frumento a cui si aggiunge dal 10 al 50% di frutta.
Ma è negli States che si registrano la maggior parte delle birre alla frutta prodotta. Dove l'unico limite delle possibili birre è l'immaginazione, anche se però bisogna sempre tenere a mente una regola: per poter parlare di birra, essa deve essere composta da almeno il 50% dei fermentabili derivati da malto. Altrimenti si avrà un vino di frutta o un sidro addizionato a del malto.
Birra base
Per brassare una birra alla frutta bisogna innanzitutto partire da una base, e già qua ci si può sbizzarrire. I migliori stili da usare sono le pilsner e le scottish ale, birre molto pulite come aroma e sapore, dal corpo leggero, che andrà a coprire poco il contributo della frutta. Ciò però comporta un piccolo intoppo, il contributo in quanto materiale fermentabile della frutta è di semplici zuccheri, quindi comporta una certa secchezza nella nostra birra, prendendo la definizione di sidrosa. Per questo è meglio impiegare uno stile con un corpo più persistente come le weizenbier, i modo da non avere una birra troppo sidrosa.
In aggiunta durante la brassatura si posso impiegare malti colorati, in modo da accentuare il colore dato dalla frutta o dare qualche nota di caramello al prodotto finito. Addirittura c'è chi si è spinto ne produrre birre alla frutta usando come base porter e stout, alla fine l'abbinamento note di tostato caffè/cioccolato a quelle acide della frutta rossa è connubio molte volte presente in pasticceria.
Comunque, essendo la frutta il maggior contributo dell'aroma di questo stile, il luppolo ricopre un ruolo marginale. A meno che non si vogliano sfruttare le note citriche/tropicali dei luppoli americani, per abbinarli al sapore (acido) della frutta. Sempre però mantenendo un'amarezza marginale altrimenti si andrà a coprire il tutto.
Ray Daniels, autore di "Progettare grandi birre", consiglia come caratteristica di una fruitbeer, una densità iniziale di 1.050 (12.4°Br), un un rapporto BU:GU di 50 (quindi 25IBU), che non è male come base di partenza, poi ognuno può calibrarla in base al prodotto che si vuole ottenere.
Una cosa che ci tengo a dire è quella di avere l'accortezza della diluizione data dalla frutta, generalmente essa ha una resa di succo che va dal 50 all'80% del suo peso, quindi se il grado zuccherino iniziale della birra è superiore a quello della frutta si avrà un certa diluizione, come pure dal punto di vista dell'amarezza, essa va calibrata tenendo conto anche del contributo di liquidi dato dalla frutta.
Infine, parliamo di lieviti, come detto la base per questo stile deve essere scelta al fine di non coprire il contributo della frutta, quindi ceppi lager o ale americani vanno più che bene, i primi perché sono molto puliti, mentre i secondi per il loro carattere fruttato. Ma ho ottenuto buoni risultati sfruttando i lieviti naturalmente presenti sulla frutta, la quale veniva introdotta non appena il mosto si raffreddava, andando così a produrre una birra alla frutta a fermentazione spontanea.
Frutta
Qua come detto il nostro limite è l'immaginazione, perché si possono avere le seguenti combinazioni:
- quale frutta mettere? Va scelta il tipo di frutta che maggiormente piace, basti pensare ai frutti bosco, alla frutta tropicale con i suoi profumi e sapori esotici; gli agrumi dove si può impiegare anche la buccia per un maggiore contributo aromatico; le cucurbitacee, soprattutto la zucca, previa cottura (fatta al forno), oppure meloni e l'anguria; prunacee come pesche, nettarine e nocipesche, oppure albicocche, ciliegie, amarene e susine; ma si possono usare anche mele, pere e sorbe.
- come aggiungerla? Qua si bisognerebbe rispondere: come viene più comodo. La si può usare intera, facendo attenzione se si vuole un prodotto pulito, a non creare contaminazioni, e quindi avere l'accortezza di disinfettarla prima dell'introduzione nel fermentatore. Un'altra accortezza è quella, al fine di facilitare la separazione della birra dalla polpa esausta è di utilizzare una mussola o un sacchetto filtrante nel quale mettere la frutta da aggiungere. Un'alternativa è quella di usare delle puree o degli estratti, molto più facili da maneggiare, dove anche qua per evitare contaminazioni sarebbe bene pastorizzare il tutto.
- quando aggiungerla? Per avere un buon contributo aromatico il migliore momento è a fine fermentazione, in modo da avere la possibilità, di poter fare altre aggiunte successive. Si possono addirittura aggiungere succhi ed estratti al momento dell'imbottigliamento per avere un contributo più fresco e sfruttare gli zuccheri in essi contenuti per la rifermentazione in bottiglia. Ma l'aggiunta può essere fatta all'inizio della fermentazione, in modo che insieme al malto vengano fermentati anche gli zuccheri di essa. Una cosa comodo per non incorrere in contaminazioni e poter pastorizzare il tutto è quello di fare l'aggiunta a fine bollitura, andando a sfruttare il calore residuo del mosto. E qua devo aggiungere un'altra accortezza, la quale è che molta frutta tropicale contiene enzimi proteolitici come kiwi, ananas e papaia, quindi sarebbe doppiamente utile pastorizzarla al fine di non avere un prodotto senza corpo o con una schiuma evanescente.
- quanta aggiungerne? Come detto il limite è quello di non superare il 50% dei fermentabili, altrimenti il prodotto non può essere considerato birra. Ma una buona stima di partenza è di 100 - 200g/l, qua tutto sta al prodotto che si vuole ottenere e al tipo di contributo dato, il primo caso è adatto a frutta forte (frutta tropicale, mora, lampone), mente il secondo per frutta delicata (pesca, fragola). Sta poi al birraio calibrare la quantità da aggiungere.
Conclusione
Gli homebrews hanno più spazio all'immaginazione nel produrre una birra alla frutta, rispetto a un birrificio, il quale è legato alla produzione di un prodotto redditizio e che sia pratico da realizzare.Il prodotto si deve presentare come una birra che mantiene la sua identità ma integra bene il carattere della frutta impiegata, infatti, questa deve dare complessità alla birra e non coprirla.
Aspetto, colore e sapore, sono molto influenzati dallo stile della birra base e dalla frutta impiegata, dove va ricordato che la frutta non aggiunge dolcezza (quella se ne va con la fermentazione), ma sapore, quindi bisogna vederla al netto del primo contributo. E un'ultima cosa, molte birre fatte con frutta fresca tendono a migliorare con l'invecchiamento, un po' come con il vino, non bisogna avere fretta nel consumarle.
Quindi non resta che sbizzarrirsi e buona birra a tutti.
Le informazioni presenti su questo blog sono a scopo informativo, quindi mi esento da qualsiasi responsabilità per i danni che potreste causare.