Biére de mars, Faro e Lambick
In passato queste tre birre erano strettamente legate. Esse si producevano ammostando malto d'orzo e frumento (crudo) in egual quantità, insieme a pula di frumento (per migliorare la filtrazione). Dove l'ammostamento si aveva con l'aggiunta inizialmente di acqua fredda e successivamente di acqua bollente.
Dal primo mosto, quello dato dall'ammostamento e quindi più zuccherino si andava a produrre il Lambick, che aveva un grado iniziale di 7-8°Bé (12.7-14.5°Br), e a fine fermentazione 2-3°Bé. Si trattava di una birra adatta alla lunga conservazione, la quale veniva effettuata in botti.
Dal secondo mosto, quello derivato al lavaggio delle trebbie, povero di zuccheri. Si andava a produrre la Biére de mars, con un grado iniziale di 3°Bé (5.5°Br). Era una birra leggera adatta al consumo immediato.
Queste due birre si producevano in egual quantità a partire dalla medesima cotta di cereali. E mescolandole insieme si andava a generare il Faro. Quest'ultima tipologia, solitamente si andava preparando dall'unione in egual parte delle due birre sopra citate, già fermentate. Raramente dai due mosti, i quali dovevano risultare in un mosto approssimativamente da 5°Bé (9.1°Br), e fatta fermentare allo stesso modo di queste [1].
La fermentazione di queste birre avveniva nel periodo invernale, ed era spontanea, il che portava all'ottenimento a lungo andare di un prodotto acido, oppure con odori sgradevoli, nonostante si utilizzasse si utilizzasse del luppolo fresco, come si può vedere sopra [1].
Turbid mash
Il lambic prende nome dalla città di Lembeek, e si hanno notizie della sua produzione sin dal 1320. Ma quello che viene prodotto oggi, nasce agli inizi dell'800, perché la sua particolarità non sta solo nel come viene fermentata, ma anche per come viene ammostata.
Ciò è causata da una legge olandese del 1820 (il Belgio dichiarò la sua indipendenza dai Paesi Bassi nel 1830), la quale tassava i birrifici in base al volume dei tini di ammostamento, con una scappatoia sui cereali non maltati che venivano ammostati separatamente (abolita nel 1885). Da qui nascono tecniche di ammostamento che prevedevano un tino di ammostamento e uno di gelatinizzazione dei non maltati, dove si prendeva parte del mosto del primo per ammostare il secondo.
Successivamente si venne a creare quello che oggi è conosciuto come turbid mash o ammostamento torbido, che vede l'aggiunta di acqua calda alla miscela di grani, e lo spillamento del successivo mosto, per fare spazio all'aggiunta della nuova acqua.
Per semplificare il tutto ho riportato il seguente schema sulla sinistra, gentilmente preso dal sito: eurekabrewing.wordpress.com
Come si può vedere sono necessari tre tini, uno per l'acqua calda, uno per l'ammostamento dei cereali, e il terzo per l'ammostamento del mosto torbido.
Il risultato di tutto questo processo è quello di un mosto torbido, parzialmente saccarificato, le cui destrine ed amidi porteranno ad un lunga e lenta fermentazione da pare di lieviti selvatici e brettranomyces.
Luppolo invecchiato
Seconda particolarità del lambic è l'utilizzo in bollitura di luppolo invecchiato. L'utilizzo di quello fresco risulterebbe troppo batteriostatico per permettere la fermentazione lattica successiva a quella alcolica. Come riportato nello schema sottostante [2].
Poiché gli alfa acidi del luppolo isomerizzati in bollitura tendono a con il tempo a degradarsi, oltre ad essere sensibili al pH. Allora ci vengono in aiuto i beta acidi, che sono presenti in quantità inferiore (solitamente la metà di quelli alfa) nei luppoli, e una volta ossidati (con l'invecchiamento), sono solubili e con una buona stabilità apportano un grado di amarezza. Questo tipo di ingrediente lo si produce lasciando invecchiare per almeno tre anni il luppolo in balle, in modo che sia alfa che beta acidi si ossidano.
La bollitura del lambic prevede una durata che va dalle 4 alle 6 ore, anche se tradizionalmente si procedeva con un sobbollita di almeno 12 ore. Mentre per tutto il tempo di ebollizione si mettono in infusione 5.6g/l di luppolo invecchiato per la luppolatura.
L'inoculo
Terminata la bollitura, il mosto viene inviato alle camere di raffreddamento, nelle quali sono presenti delle larghe vasche, chiamate koelschip, atte a questo processo. Qui il mosto caldo viene versato, e nel mentre filtrato dal luppolo, lasciandolo raffreddare per una notte.
Le vasche tradizionalmente in rame (a sinistra [4]), ma ve ne sono di moderne in acciaio inossidabile, presentano un rapporto superficie/volume di mosto che va da 0.14 a 0.58 1/dm. Il che significa che ad esempio per una cotta da 25.0l servirà una superficie che va da 3.5 a 14.5 dmq, quindi una pentola con un diametro da 3.5dm (9.6dmq) è un buon compromesso.
Nelle camere di raffreddamento sono presenti delle finestre per il ricambio dell'aria. E che tradizionalmente fungevano da inoculo, infatti, intorno ai birrifici, così come lungo tutta la valle della Senna, venivano coltivati i ciliegi Schaarbeek, i quali contribuivano in maniera naturale per l'inoculo del mosto. Mentre oggi queste camere vengono bagnate con del lambic maturo, per mantenere un a buona flora microbica in essa.
L'invecchiamento
Il mosto del lambic dopo essere stato raffreddato, viene spostato nel tino di fermentazione primaria, detto anche "horny tank", dove appunto fermenta e vi ci rimane per tutta la durata della fermentazione, circa tre o quattro mesi.
Dopo di che per essere un vero lambic, esso deve invecchiare in botte per almeno tre anni, come detto precedentemente questo stile era destinato alla lunga conservazione. Ma il fatto che fermentasse spontaneamente lo rendeva instabile nel tempo, inacidendo, e questo è diventato il suo punto di forza oggi.
Durante la sua maturazione in botte, il lambic passa dal sembrare una weizenbier, ad acquisire acidità, data dalla fermentazione lattica, e sentori vinosi dati dai brettanomyces. Un altro contributo dato da quest'ultimi è l'acidità acetica, poiché attraverso il legno delle botti permea ossigena, andando ad ossidare la birra.
Al termine di questa maturazione il lambic, viene blendato, cioè miscelato con altri lambic, nella stessa maniera con la quale si fa con i vini francesi. Al fine di garantire un prodotto costante.
La famiglia del lambic
Esistono diverse varianti del lambic, influenzati da come vengono lavorate e da cosa viene aggiunto. Il lambic puro, si presenta come una birra secca, acida e dai sentori funky. Essa non viene rifermentata in bottiglia, quindi la si serve liscia, ed può assomigliare ad un vino bianco.
Per mitigare la sua acidità, al momento in cui viene servita vi si aggiunge dello zucchero. Si ha così il faro, il quale come si può leggere sopra era una versione leggera del lambic di una volta. Mentre oggi appunto è la sua versione addolcita.
"I lambic, le birre alla frutta e le gueuze dolci non esistono. È impossibile. Se sono dolci, i casi sono tre: non sono lambic, contengono aspartame o sono stati pastorizzati. Il lambic è un prodotto naturale"
Jean-Paul Van Roy di Brasserie-Brouwerij Cantillon
Appunto, come si sa, se si aggiunge zucchero ad una birra non pastorizzata essa poco dopo tenderà a fermentare. Il faro lo si fa al momento del servizio, mentre alcuni produttori di lambic, per renderla più appetibile, gli aggiungono dolcificanti non fermentabili come aspartame o saccarina.
Un altro modo per mitigare il lambic è quello di aggiungere della frutta, e lo si fa direttamente in botte dopo uno oppure due anni da quando è stato trasferito in esso. Con un dosaggio di 2-3kg/l, ciò porta ad avvio della fermentazione, per via degli zuccheri contenuti nella frutta. Essa vi rimane tra i sei e i nove mesi, fino alla sua completa fermentazione. In passato la frutta veniva aggiunta sotto forma di succo al momento in cui veniva servita, per mitigare la sua acidità, poi col tempo si è iniziati a metterla in maturazione.
Tradizionalmente come frutta si utilizzano le ciliegie, come detto prima molto coltivate nella zona di produzione del lambic, e si ha così il kriek (ciliegia in belga) o kriek lambic. Mentre durante lo scorso secolo si è iniziati ad aggiungere altra frutta, inizialmente lamponi, per avere così la framboise o framboise lambic, e in seguito l'uva, druivenbier o druiven lambic. Mentre dagli anni '80 in poi i produttori hanno iniziato a sbizzarrirsi, andando a aggiungere pesche, ribes nero, albicocche e fragole.
Ultima variante del lambic è il gueuze, prodotto miscelando lambic giovane (un anno in botte) con lambic vecchi, in proporzioni varie:
- 50% lambic di un anno, 25% lambic di due anni e 25% di tre anni;
- 67% lambic di un anno e 33% lambic di due o tre anni;
- 95% lambic di due anni e 5% lambic che ha fermentato per qualche settimana.
Questo blending, permette al lambic, di avviare una seconda fermentazione, la quale lo andrà rendere frizzante durante la sua maturazione in bottiglia. Infatti, questo stile non viene conservato in botte, ma in bottiglia, le quali vengono poste in orizzontale (immagine sopra [3]), e mantengono questa posizione anche quando vengono servite, poiché i lieviti si andranno a depositare lungo la bottiglia.
Bibliografia
[1] La Cambre, G.; Traité Complet de la Fabrication des Bières, et de la Distillation de Grain, Pomme de Terre, Betteraves, Topinambours, etc.; Tome Premier, Bruxelles, 1856;
[2] van Oevelen et al; Microbiological aspects of spontaneous wort fermentation in the production of lambic and gueuze, 1977;
[3] https://www.flickr.com/photos/13264649@N05/2141004100/
[4] https://www.flickr.com/photos/brostad/14270094022/in/photolist-nsG1rr-iLKUK7-a38poq-em6LsW-nKbDBT-nJTB8p-nJZXMQ-dSvjJN-nsG1kV-2euruKp-nH99uG-8ojvE9-2hpjmN8-7TWDfz-7tz5KX-nKbDuP-9DGjYC-9NsqDB-kKKyuD-9R1oDG-3rQ288-neoiYd-nmpVRu-rWRwAn-j6vdFV-efyNt2-2hbjhVT-p8gZGd-2kCBZSo-efEy77-9YThw7-qSDk4L-hZCW9q-48fyTq-dXTwie-dXZcvu-nmpWaL-jgaSZj-i26WuH-nynbW7-eoZT2Q-eoZRNW-eoZUb9-p8gZUh-rWJibs-efEycd-feUY6S-2kCBsnt-2kCBZUY-eH886z/
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