Dopo aver parlato della frutta essiccata più comune o come la definiscono gli anglofoni Mediterranea, in questa seconda parte parlerò inizialmente di due frutti essiccati che un tempo erano molto usati e che sono stati un po' dimenticati e successivamente di quelli un po' esotici.
Albicocche
L'albicoccha è il frutto dell'albicocco (prunus armeniaca L.), pianta appartenente alla famiglia delle rosaceae, quindi parente di rose, prugni e meli. Questa è stata importata in Europa dai Romani, e si credeva essere originaria dell'Armenia, tant'è che il frutto inizialmente veniva chiamata "mala armeniaca", cioè mela armena. Allo stesso modo delle pesche, che essendo state importate alla Persia, venivano chiamate "mala persica", cioè mele persiane, ma in questo caso il nome si è conservato nella parola pesca derivata da persica.Con le albicocche il loro nome mutò nel tempo in quello attuale grazie agli arabi, infatti, esso deriva dallo spagnolo "albaricoque", adattamento dell'arabo "al-barquq", la quale a sua volta prende nome dalla parola siriana/aramaica "barquqyo". Sebbene la pianta si è diffusa in Europa dall'Armenia, essa si è rivelata essere originaria della Cina.L'albicocca è molto simile alle susine, se non per un gusto più delicato e una leggera peluria sulla buccia. E per questo, un modo per conservarle è quello di essiccarle. Le albicocche secche denocciolate contengono il 60.% di carboidrati (53.0% di zuccheri semplici), l'8.0% di fibre, il 2.9% proteine, lo 0.5% grassi e il restante (28.5%) acqua e sali minerali.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 21.6Br e a fine fermentazione avevo 13,4Br, con un attenuazione apparente del 46.3% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 7.3ABV.
L'albicoccha è il frutto dell'albicocco (prunus armeniaca L.), pianta appartenente alla famiglia delle rosaceae, quindi parente di rose, prugni e meli. Questa è stata importata in Europa dai Romani, e si credeva essere originaria dell'Armenia, tant'è che il frutto inizialmente veniva chiamata "mala armeniaca", cioè mela armena. Allo stesso modo delle pesche, che essendo state importate alla Persia, venivano chiamate "mala persica", cioè mele persiane, ma in questo caso il nome si è conservato nella parola pesca derivata da persica.
Con le albicocche il loro nome mutò nel tempo in quello attuale grazie agli arabi, infatti, esso deriva dallo spagnolo "albaricoque", adattamento dell'arabo "al-barquq", la quale a sua volta prende nome dalla parola siriana/aramaica "barquqyo". Sebbene la pianta si è diffusa in Europa dall'Armenia, essa si è rivelata essere originaria della Cina.
L'albicocca è molto simile alle susine, se non per un gusto più delicato e una leggera peluria sulla buccia. E per questo, un modo per conservarle è quello di essiccarle. Le albicocche secche denocciolate contengono il 60.% di carboidrati (53.0% di zuccheri semplici), l'8.0% di fibre, il 2.9% proteine, lo 0.5% grassi e il restante (28.5%) acqua e sali minerali.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 21.6Br e a fine fermentazione avevo 13,4Br, con un attenuazione apparente del 46.3% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 7.3ABV.Cachi
I cachi o loti o diospiro sono i frutti dell'omonima pianta (diospyros kaki L.f.), un ebenacea originaria dell'Asia orientale, che fu introdotta in America ed Europa nell'ottocento. Il nome cachi deriva dal giapponese kaki, mentre il nome loto deriva dal fatto che si pensasse essere il mitico loto consumati dal popolo orientale dei lotofagi o mangiatori di loto, frutto così buono da dare l'oblio a chi lo mangiava. Infatti, per loto s'intende l'albero di Sant'Andrea (dispyros lotus L.), pianta diffusa dall'Asia minore fino all'Asia orientale, che produce dei piccoli frutti simili a dei cachi, ma dal sapore molto dolce misto tra una prugna e un dattero. Infine, il termine diospiro deriva delle parole greche dios e pyros che significa grano di Zeus o meglio frutto di Dio.Per poter conservare questo nobile e buonissimo frutto per tutto l'inverno, in oriente lo si essicca, consumandolo al pari dei datteri. Si ha così quello che in Cina viene chiamato shìbǐng, in Corea gotgam, e in Giappone hoshigaki, il quale viene prodotto pelando i frutti acerbi, quindi ancora astringenti e sodi, per poi appenderli al sole per almeno un mese. Il frutto nel frattempo seccherà e maturerà, andando ad acquisire il sapore e la consistenza di un dattero oltre al fatto che lo zucchero contenuto tenderà a cristallizzare sulla superficie.Questi contengono l'80.0% di carboidrati (75.0% zuccheri semplici), il 2.0% proteine, lo 0.8% grassi e il restante acqua e sali minerali.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.4Br e a fine fermentazione avevo 12,6Br, con un attenuazione apparente del 59.3% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 9.4ABV.
I cachi o loti o diospiro sono i frutti dell'omonima pianta (diospyros kaki L.f.), un ebenacea originaria dell'Asia orientale, che fu introdotta in America ed Europa nell'ottocento. Il nome cachi deriva dal giapponese kaki, mentre il nome loto deriva dal fatto che si pensasse essere il mitico loto consumati dal popolo orientale dei lotofagi o mangiatori di loto, frutto così buono da dare l'oblio a chi lo mangiava. Infatti, per loto s'intende l'albero di Sant'Andrea (dispyros lotus L.), pianta diffusa dall'Asia minore fino all'Asia orientale, che produce dei piccoli frutti simili a dei cachi, ma dal sapore molto dolce misto tra una prugna e un dattero. Infine, il termine diospiro deriva delle parole greche dios e pyros che significa grano di Zeus o meglio frutto di Dio.
Per poter conservare questo nobile e buonissimo frutto per tutto l'inverno, in oriente lo si essicca, consumandolo al pari dei datteri. Si ha così quello che in Cina viene chiamato shìbǐng, in Corea gotgam, e in Giappone hoshigaki, il quale viene prodotto pelando i frutti acerbi, quindi ancora astringenti e sodi, per poi appenderli al sole per almeno un mese. Il frutto nel frattempo seccherà e maturerà, andando ad acquisire il sapore e la consistenza di un dattero oltre al fatto che lo zucchero contenuto tenderà a cristallizzare sulla superficie.
Questi contengono l'80.0% di carboidrati (75.0% zuccheri semplici), il 2.0% proteine, lo 0.8% grassi e il restante acqua e sali minerali.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.4Br e a fine fermentazione avevo 12,6Br, con un attenuazione apparente del 59.3% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 9.4ABV.
Mirtilli
Generalmente per mirtillo s'intende il frutto dell'omonima pianta (vaccinum myrtillus L.), conosciuto anche come mirtillo nero, pianta appartenete alle ericaceae, la stessa del corbezzolo e dell'erica arborea.Ma il genere vaccinum è ricco di specie, diffuse lungo tutto l'emisfero settentrionale con clima temperato freddo, infatti, abbiamo il mirtillo gigante americano (vaccinum corymbosum L.) e il mirtillo rosso (vaccinum vitis-ideae L.). Quest'ultimo viene chiamato dagli anglofoni cowberry o lingonberry e non va confuso con quelli che loro chiamano cranberry. A questo nome rispondono: la morella di palude (vaccinum oxycoccos L.) diffuso in tutto l'areale subartico, l'ossicocco minore (vaccinium microcarpum (Turcz. ex Rupr.) Schmalh.) diffuso nell'areale subartico europeo e siberiano e l'ossicocco americano (vaccinum macrocarpon Aiton.) originario del Nord America.L'utilizzo dei mirtilli secchi è uguale a quello dell'uvetta, e devo ammettere che mi sono arreso nella ricerca di questi frutti ai quali non vi fossero addizionati zuccheri o sciroppi, andando così ad utilizzare quelli più facilmente reperibili. Infatti, i mirtilli utilizzati presentavano 83.5% di zuccheri, (di cui 68.7% zuccheri semplici)
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.3Br e a fine fermentazione avevo 13.Br, con un attenuazione apparente del 50.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.1ABV.
Parallelamente ho testato il contributo dell'altro frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale sono andato ad aggiungere a fine bollitura 250.0g di ossicocchi (cranberries), i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.3Br e a fine fermentazione avevo 13.Br, con un attenuazione apparente del 50.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.1ABV.
Generalmente per mirtillo s'intende il frutto dell'omonima pianta (vaccinum myrtillus L.), conosciuto anche come mirtillo nero, pianta appartenete alle ericaceae, la stessa del corbezzolo e dell'erica arborea.
Ma il genere vaccinum è ricco di specie, diffuse lungo tutto l'emisfero settentrionale con clima temperato freddo, infatti, abbiamo il mirtillo gigante americano (vaccinum corymbosum L.) e il mirtillo rosso (vaccinum vitis-ideae L.).
Quest'ultimo viene chiamato dagli anglofoni cowberry o lingonberry e non va confuso con quelli che loro chiamano cranberry. A questo nome rispondono: la morella di palude (vaccinum oxycoccos L.) diffuso in tutto l'areale subartico, l'ossicocco minore (vaccinium microcarpum (Turcz. ex Rupr.) Schmalh.) diffuso nell'areale subartico europeo e siberiano e l'ossicocco americano (vaccinum macrocarpon Aiton.) originario del Nord America.
L'utilizzo dei mirtilli secchi è uguale a quello dell'uvetta, e devo ammettere che mi sono arreso nella ricerca di questi frutti ai quali non vi fossero addizionati zuccheri o sciroppi, andando così ad utilizzare quelli più facilmente reperibili. Infatti, i mirtilli utilizzati presentavano 83.5% di zuccheri, (di cui 68.7% zuccheri semplici)
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.3Br e a fine fermentazione avevo 13.Br, con un attenuazione apparente del 50.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.1ABV.
Parallelamente ho testato il contributo dell'altro frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale sono andato ad aggiungere a fine bollitura 250.0g di ossicocchi (cranberries), i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.3Br e a fine fermentazione avevo 13.Br, con un attenuazione apparente del 50.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.1ABV.
Tamarindo
Frutto dell'omonima pianta (tamarindus indica L.), una leguminosa presente dall'Africa orientale all'India, il cui nome deriva dall'arabo tamr hindī, che significa dattero d'India, per via del suo sapore che lo ricorda. Nota: nel mesoamerica esiste il tamarindo di Manila (pithecellobium dolce (Roxb.) Benth.), anch'essa una leguminosa che produce dei frutti simili al tamarindo, ma che vengono consumati prettamente freschi.I frutti di tamarindo, così come come le carrube, sono dei baccelli che però presentano una buccia coriacea, molto simile a un guscio, al cui interno è presente una polpa pastosa dal sapore agrodolce, la quale ricorda la cotognata, nella quale sono contenuti dei semi duri.Il tamarindo sbucciato e denocciolato contiene il 75.6% di carboidrati, il 4.7% di fibre, il 2.9% proteine, e il restante acqua e sali minerali.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di polpa di tamarindi, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.4Br e a fine fermentazione avevo 13.0Br, con un attenuazione apparente del 55.7% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.9ABV.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di polpa di tamarindi, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.4Br e a fine fermentazione avevo 13.0Br, con un attenuazione apparente del 55.7% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.9ABV.
Pere
La pera è il frutto del pero (pyrus communis L.), pianta appartenente alle rosaceae, quindi parente di meli e susini, nata dall'ibridazione con la sottospecie selvatica europea (pyrus communis subsp. pyraster (L.) Ehrh.) e quella caucasica (pyrus communis subsp. caucasica (Fed.) Browicz ).Questo frutto come le sue cugine mele al fine di conservarsi per tutta la durata dell'inverno, lo si essiccava al sole in spicchi da quarto. Ancora oggi in Germania vi è la tradizione di essiccarle, però intere in appositi forni a legno, queste prendono il nome di hutzeln, mentre in Italia la tradizione si è persa.Le pere secche contengono il 68.2% di carboidrati, il 1.7% proteine, lo 1.1% grassi e il restante acqua e sali minerali. Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di polpa di tamarindi, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.2Br e a fine fermentazione avevo 13,6Br, con un attenuazione apparente del 49.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 7.9ABV.
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di polpa di tamarindi, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.2Br e a fine fermentazione avevo 13,6Br, con un attenuazione apparente del 49.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 7.9ABV.
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