domenica 28 aprile 2024

Fico secco e uva passa - Parte seconda

Dopo aver parlato della frutta essiccata più comune o come la definiscono gli anglofoni Mediterranea, in questa seconda parte parlerò inizialmente di due frutti essiccati che un tempo erano molto usati e che sono stati un po' dimenticati e successivamente di quelli un po' esotici.


Albicocche

L'albicoccha è il frutto dell'albicocco (prunus armeniaca L.), pianta appartenente alla famiglia delle rosaceae, quindi parente di rose, prugni e meli. Questa è stata importata in Europa dai Romani, e si credeva essere originaria dell'Armenia, tant'è che il frutto inizialmente veniva chiamata "mala armeniaca", cioè mela armena. Allo stesso modo delle pesche, che essendo state importate alla Persia, venivano chiamate "mala persica", cioè mele persiane, ma in questo caso il nome si è conservato nella parola pesca derivata da persica.
Con le albicocche il loro nome mutò nel tempo in quello attuale grazie agli arabi, infatti, esso deriva dallo spagnolo "albaricoque", adattamento dell'arabo "al-barquq", la quale a sua volta prende nome dalla parola siriana/aramaica "barquqyo". Sebbene la pianta si è diffusa in Europa dall'Armenia, essa si è rivelata essere originaria della Cina.
L'albicocca è molto simile alle susine, se non per un gusto più delicato e una leggera peluria sulla buccia. E per questo, un modo per conservarle è quello di essiccarle. Le albicocche secche denocciolate contengono il 60.% di carboidrati (53.0% di zuccheri semplici), l'8.0% di fibre, il 2.9% proteine, lo 0.5% grassi e il restante (28.5%) acqua e sali minerali. 


Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 21.6Br e a fine fermentazione avevo 13,4Br, con un attenuazione apparente del 46.3% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 7.3ABV.

Cachi

I cachi o loti o diospiro sono i frutti dell'omonima pianta (diospyros kaki L.f.), un ebenacea originaria dell'Asia orientale, che fu introdotta in America ed Europa nell'ottocento. Il nome cachi deriva dal giapponese kaki, mentre il nome loto deriva dal fatto che si pensasse essere il mitico loto consumati dal popolo orientale dei lotofagi o mangiatori di loto, frutto così buono da dare l'oblio a chi lo mangiava. Infatti, per loto s'intende l'albero di Sant'Andrea (dispyros lotus L.), pianta diffusa dall'Asia minore fino all'Asia orientale, che produce dei piccoli frutti simili a dei cachi, ma dal sapore molto dolce misto tra una prugna e un dattero. Infine, il termine diospiro deriva delle parole greche dios e pyros che significa grano di Zeus o meglio frutto di Dio.
Per poter conservare questo nobile e buonissimo frutto per tutto l'inverno, in oriente lo si essicca, consumandolo al pari dei datteri. Si ha così quello che in Cina viene chiamato shìbǐng, in Corea gotgam, e in Giappone hoshigaki, il quale viene prodotto pelando i frutti acerbi, quindi ancora astringenti e sodi, per poi appenderli al sole per almeno un mese. Il frutto nel frattempo seccherà e maturerà, andando ad acquisire il sapore e la consistenza di un dattero oltre al fatto che lo zucchero contenuto tenderà a cristallizzare sulla superficie.
Questi contengono l'80.0% di carboidrati (75.0% zuccheri semplici), il 2.0% proteine, lo 0.8% grassi e il restante acqua e sali minerali. 

Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.4Br e a fine fermentazione avevo 12,6Br, con un attenuazione apparente del 59.3% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 9.4ABV.


Mirtilli

Generalmente per mirtillo s'intende il frutto dell'omonima pianta (vaccinum myrtillus L.), conosciuto anche come mirtillo nero, pianta appartenete alle ericaceae, la stessa del corbezzolo e dell'erica arborea.
Ma il genere vaccinum è ricco di specie, diffuse lungo tutto l'emisfero settentrionale con clima temperato freddo, infatti, abbiamo il mirtillo gigante americano (vaccinum corymbosum L.) e il mirtillo rosso (vaccinum vitis-ideae L.). 
Quest'ultimo viene chiamato dagli anglofoni cowberry o lingonberry e non va confuso con quelli che loro chiamano cranberry. A questo nome rispondono: la morella di palude (vaccinum oxycoccos L.) diffuso in tutto l'areale subartico, l'ossicocco minore (vaccinium microcarpum (Turcz. ex Rupr.) Schmalh.) diffuso nell'areale subartico europeo e siberiano e l'ossicocco americano (vaccinum macrocarpon Aiton.) originario del Nord America.
L'utilizzo dei mirtilli secchi è uguale a quello dell'uvetta, e devo ammettere che mi sono arreso nella ricerca di questi frutti ai quali non vi fossero addizionati zuccheri o sciroppi, andando così ad utilizzare quelli più facilmente reperibili. Infatti, i mirtilli utilizzati presentavano 83.5% di zuccheri, (di cui 68.7% zuccheri semplici)

Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di mirtilli neri, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.3Br e a fine fermentazione avevo 13.Br, con un attenuazione apparente del 50.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.1ABV.

Parallelamente ho testato il contributo dell'altro frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale sono andato ad aggiungere a fine bollitura 250.0g di ossicocchi (cranberries), i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.3Br e a fine fermentazione avevo 13.Br, con un attenuazione apparente del 50.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.1ABV.

Tamarindo

Frutto dell'omonima pianta (tamarindus indica L.), una leguminosa presente dall'Africa orientale all'India, il cui nome deriva dall'arabo tamr hindī, che significa dattero d'India, per via del suo sapore che lo ricorda. Nota: nel mesoamerica esiste il tamarindo di Manila (pithecellobium dolce (Roxb.) Benth.), anch'essa una leguminosa che produce dei frutti simili al tamarindo, ma che vengono consumati prettamente freschi.
I frutti di tamarindo, così come come le carrube, sono dei baccelli che però presentano una buccia coriacea, molto simile a un guscio, al cui interno è presente una polpa pastosa dal sapore agrodolce, la quale ricorda la cotognata, nella quale sono contenuti dei semi duri.
Il tamarindo sbucciato e denocciolato contiene il 75.6% di carboidrati, il 4.7% di fibre, il 2.9% proteine, e il restante acqua e sali minerali. 

Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di polpa di tamarindi, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.4Br e a fine fermentazione avevo 13.0Br, con un attenuazione apparente del 55.7% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 8.9ABV.


Pere

La pera è il frutto del pero (pyrus communis L.), pianta appartenente alle rosaceae, quindi parente di meli e susini, nata dall'ibridazione con la sottospecie selvatica europea (pyrus communis subsp. pyraster (L.) Ehrh.) e quella caucasica (pyrus communis subsp. caucasica (Fed.) Browicz ).
Questo frutto come le sue cugine mele al fine di conservarsi per tutta la durata dell'inverno, lo si essiccava al sole in spicchi da quarto. Ancora oggi in Germania vi è la tradizione di essiccarle, però intere in appositi forni a legno, queste prendono il nome di hutzeln, mentre in Italia la tradizione si è persa.
Le pere secche contengono il 68.2% di carboidrati, il 1.7% proteine, lo 1.1% grassi e il restante acqua e sali minerali. 
Per testare il contributo di questo frutto nella birra, sono andato a fare una piccola cotta di barley wine, 5.0l a 20.0Br, al quale ho aggiunto a fine bollitura 250.0g di polpa di tamarindi, i quali sono rimasti nel mosto per tutta la fermentazione.
Non potendo misurare appieno il loro contenuto zuccherino, ho teorizzato pervio calcoli, che il mio mosto partiva da 22.2Br e a fine fermentazione avevo 13,6Br, con un attenuazione apparente del 49.8% abbastanza tipica del Fermentis S-04 utilizzato e un grado alcolico di 7.9ABV.






Le informazioni presenti su questo blog sono a scopo informativo, quindi mi esento da qualsiasi responsabilità per i danni che potreste causare.

domenica 14 aprile 2024

Le graduazioni delle birre

In passato le birre venivano distinte principalmente per la loro graduazione, in modo da essere facilmente tassabili. 


Germania

In Germania nel 1800 si potevano distinguere tre colori per le birre: Braune cioè marroni; Gelbe, gialle o bionde e Weisse, bianche o pallide. Mentre per quanto riguarda la graduazione si avevano le Leichte, leggere; e le Lagerbier, quelle forti per essere immagazzinate (lager = magazzino). Come si può vedere sopra [3].

Mentre oggi giorno sono rimaste tre classi di distinzioni per graduazione: schankbier (birra leggera), con un grado zuccherino iniziale di 7.0-8.0°Br; vollbier (birra piena), con un grado zuccherino iniziale di 11.0-14.0°Br e contenente 3.5-4.5% ABW; starkbier (birra forte). con un grado zuccherino iniziale sopra i 16.0°Br.


Inghilterra

Gli inglesi nello stesso periodo distinguevano le birre per graduazione in Keeping (>25.0 lb/bbl(1)), da conserva, Common (20.0-22.0 lb/bbl), comune, e Table (11.0-12.5 lb/bbl), da tavola, cioè adatte al consumo di tutti giorni. In alcuni casi la prima veniva prodotta con il primo mosto, la terza con quello risultante dal lavaggio delle trebbie (secondo mosto) e dall'unione delle due si poteva ottenere la seconda. Quelle homebrewed, invece, presentavano graduazioni intorno all'8.0% ABV [1].

Per quanto riguarda le colorazioni si avevano le Pale, chiare; le Amber, ambrate; e le Brown o Porter, scure [1].

Rimangono però testimonianze di classi di birre per graduazioni nelle birre scozzesi, le quali, tassate in base alla gravità iniziale si possono distinguere in: 60/- (shilling = scellini) o light (<3.5% ABV), 70/- o heavy (3.5-4.0% ABV), 80/- o export (4.0-5.5% ABV), 90/- o wee heavy (>6.0% ABV).






Francia e Belgio

La Francia non era una grande produttrice di birra al pari di Germania e Inghilterra, in compenso usava per la misurazione del mosto i gradi Baumé(2) (°B o °Bé). Dove si avevano due classi di birre: biére de table, leggere, da consumo quotidiano; biére de mars, forti, prodotte tra gennaio e marzo, e adatte alla lunga conservazione, con un grado iniziale di 7.0-8.5°Bé  [2].

In Belgio si potevano distinguere tre classi di birra, un esempio si ha Louvain con: la bière de mars, che aveva 3.5-4.0°Bé, la bière d'orge (o enkel gerst), che aveva intorno ai 7.6°Bé, e la double bière d'orge (o dobbel gerst), cioè quella forte, che veniva fermentata come il lambic e il faro, presentava un grado iniziale di 8.5-9.0°Bé, che dopo 15-18 mesi si riduceva a 3.0°Bé. Una cosa affascinante è che venivano prodotte nello stesso modo di quelle inglesi. La terza dal primo mosto, la prima dal secondo mosto e quella comune dalla loro unione. Come pure allo stesso modo a Bruxelles si producevano rispettivamente biére de mars, faro e lambick [2].

Prodotta su lato francese del Belgio, si aveva la bier de garde, cioè da magazzino, birra forte come le lager tedesche, adatte per la lunga conservazione. Le quali ancora oggi vengono prodotte. Insieme alle birre d'abbazia che hanno conservato i seguenti nomi: enkel (base), dubbel (doppia), trippel (tripla).

Mentre in Olanda, in quell'epoca, il grado zuccherino dei mosti della birra era molto variabile, soprattutto in base al periodo e al birraio; ma solitamente per una birra normale si avevano 3.5°Bé e 7.0°Bé per le doppie [2].






Note

(1) libbre/barile, all'epoca per sapere la densità della birra inizialmente si pesavano  i barili (36 galloni = 166.4l). Successivamente furono introdotti i saccarometri, mantenendo sempre questa unità di misura. Dove 1 GU = 2.7 lb/bbl (da considerare che 1 libbra equivaleva a 0.4536kg).

(2) 1 Brix = Baumé / 0.55 oppure = 1.818 * Baumé

Bibliografia

[1] Accum, Fredrick; A Treatise on the Art of Brewing, exhibiting the London Practice of Brewing Porter, Brown Stout, Ale, Table Beer, and various other kinds of Malt Liquors; London 1820;

[2] La Cambre, G.; Traité Complet de la Fabrication des Bières, et de la Distillation de Grain, Pomme de Terre, Betteraves, Topinambours, etc.; Tome Premier, Bruelles, 1856;

[3] Hermbstadt, Sigismund Friedrich; Chemische Grundsake der Kunst Bier zu brauen; Berlin 1819; Berlin, 1819;






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