domenica 21 gennaio 2024

Ammostamento

Per la produzione della birra una delle fasi più importanti è l'ammostamento. Essa è la fase dove il malto macinato, viene unito all'acqua, per essere poi riscaldato andando ad attivare gli enzimi contenuti in esso. Questi enzimi andranno a scomporre contenuto nel malto, e produrre quelle che ci interessa.


Per attivare gli enzimi bisogna conoscere la loro temperatura e il loro pH di attivazione. Di seguito ho fatto un elenco degli enzimi e delle loro caratteristiche, essendo che gli enzimi fuori dai loro intervalli di temperatura rallentano la loro attività, mentre aldi sopra delle temperatura massima essi si degradano. Per una migliore lettura questi enzimi verranno elencati in ordine di crescita della temperatura [1].

  • La fitasi, lavora tra i 30°C e i 52°C, pH tra 4.7 e 5.5, questo enzima scompone la fitina, sostanza che funge da riserva di fosforo nelle piante, in fosfato e inositolo (vitamina B7). Quindi l'attivazione di questo enzima permette l'abbassamento del pH del mosto, con dei tempi di lavoro tra 20 e i 40 min. Oggi giorno questo passaggio viene saltato, poiché molti preferiscono manipolare l'acidità attraverso l'aggiunta di acido lattico, solfato di calcio o cloruro di calcio, oppure con l'aggiunta di malto acidulato.
  • L'esterasi, lavora tra i 35°C e i 63°C, pH tra 4.5 e 7.5. Esso scompone l'acido ferulico, precursore dell'aroma di chiodi di garofano, dall'arabinoxilano.[2]. Benché questo enzima venga prodotto anche da i lieviti POF+.
  • La beta-glucanasi, lavora tra i 37°C e 46°C, pH tra 4.5 e 4.9. Questo enzima scompone i beta-glucani, una fibra solubile costituente delle pareti cellulari vegetali, in beta-glucani a catena corta, cellobioso e glucosio. La scomposizione di queste fibre permette la diminuzione delle viscosità del mosto, se lasciato lavorare per 15 - 20 min. A meno che non si utilizzino impasti ricchi di cereali non maltati l'attivazione di questo enzima non è necessario.
  • La xilanasi, lavora tra 40°C e 55°C, pH 4.5 - 5.0. Questo enzima è responsabile dell'idrolisi delle lunghe catene di arabinoxilano che costituiscono le pareti cellulari dei cereali. Producendo WEAX (Water Extractable ArabinoXylans), fibre solubili di arabinoxilani. A queste fibre vi è legato l'acido ferulico, che come detto prima sarà convertito in 4-vinilguaiacolo durante la fermentazione.
  • La proteasi, lavora tra i 46°C e i 58°C, pH tra 4.6 e 5.1. Essa scompone il legame peptidico delle proteine, andando a produrre amminoacidi e proteine semplici. Quindi questo passaggio serve ad alleggerire il corpo della birra, permettendo di avere una birra poco torbida, tutta via se lasciata lavorare troppo si possono avere birre "acquose" o prive di schiuma. I tempi di esercizio sono compresi tra i 20 e i 30 min.
  • La beta-amilasi, lavora tra i 54°C e i 68°C, pH tra 5.0 e 5.7. Questo enzima scompone l'amido in maltosio, principale zucchero del mosto, molto fermentabile. Generalmente viene lasciato agire per 20 - 40 min, farlo lavorare per troppo tempo può portare a birre molto alcoliche e povere di corpo.
  • L'alfa-amilasi, lavora tra i 63°C e i 76°C, pH tra 5.2 e 6.2. A differenza della beta questo enzima scompone l'amido in modo casuale generando polisaccaridi a catena corta, dette destrine, queste non sono fermentabili e andranno a costituire il corpo della birra insieme a una minima parte di glucosio. I tempi di lavora sono gli stessi della beta, ma qua va ricordato che un mosto ricco di destrine porta a una birra poco alcolica e ricca nel corpo.


In base alle temperature dei vai enzimi che entrano in gioco nel malto si possono distinguere cinque pause principali:

  • Mash in, è il momento in cui si unisce il malto all'acqua e solitamente coincide con la pausa con la quale si vuole iniziare ad ammostare.
  • Acid rest o pausa acida, generalmente intorno ai 44° e fatta durare per 10' massimo 20', abbassamento del pH del mosto, scissione dei beta-glucani e rilascio di acido ferulico e WEAX.
  • Protein rest o pausa proteolitica, effettuata intorno ai 52° per 15', in questa pausa di si vanno a scindere le proteine. Una pausa troppo lunga può incidere in una schiuma evanescente, una pausa troppo breve in una schiuma troppo pesante, la quale tenderà a smontarsi, e in una birra torbida.
  • Saccarification rest o pausa di saccarificazione, effettuata a 66° per 60'. Questa pausa permette di convertire l'amido in zuccheri semplici come il maltosio. Può essere effettuata come una lunga pausa a 66°, oppure divisa in due pause: una a 62° per 30' dove si fa lavorare prevalentemente la beta-amilasi; seguita da una a 68° per 30', per far lavorare l'alfa-amilasi. Giocando su queste temperature si possono avere birre più o meno corpose, dipende dal prodotto che si vuole ottenere.
  • Mash out, è l'ultima fase e consiste nel portare il mosto sopra i 75°, mantenendolo a quella temperatura per almeno 15'. Così facendo tutti gli enzimi si denatureranno mantenendo il mosto inalterato.


Si possono distinguere diversi tipo di ammostamento, ognuno evolutosi in base a varie esigenze o implicazioni storiche.

L'ammostamento per infusione sarà sicuramente la tecnica più utilizzata dagli homebrewers per via della sua semplicità. Come dice la parola stessa consiste nel mettere in infusione i grani macinati in acqua, la quale va riscaldata gradualmente e portata alla temperatura desiderata. Essa veniva molto utilizzata dai paesi anglofoni.


L'ammostamento per decozione, utilizzata molto nell'Europa continentale, consiste nell'effettuare le varie pause di ammostamento, con l'aggiunta di mosto bollente, prelevato al termine di ogni pausa. Come nell'immagine sopra [3].

L'ammostamento per decozione (con acqua) molto utilizzata nei paesi scandinavi e baltici, consiste nel partire da un impasto denso ed aggiungere gradualmente acqua bollente per raggiungere la temperatura di attivazione enzimatica.

L'ammostamento torbido, molto utilizzato in passato in Belgio viene tutt'ora utilizzato per la produzione di lambic, e consiste nel riscaldare il mosto gradualmente con l'aggiunta di acqua bollente, prelevandone man mano una parte da unire il tutto alla fine. Questa tecnica è nata dal fatto che in passato i birrifici venivano tassati in base alla grandezza dei tini di ammostamento, portando all'utilizzo di tini piccoli.

L'ammostamento a pietra, tecnica rudimentale ormai quasi in disusio, se non per la produzione della Steinbier (Birra alla pietra), essa consiste nel riscaldare il mosto con l'aggiunta di pietre riscaldate sul fuoco, o meglio nelle braci.






Bibliografia

[1] Bertinotti D., Faraggi M.; La tua birra fatta in casa, Quarta edizione, Edizioni Lswr, Gravellona Toce (VB) 2016;

[2] Szwajgier, D., Wasko, A., Targonski, Z., Influence of pH and temperature of ferulic acid esterase and acetic acid esterase activities during malting and mashing, Polish journal of food and nutrition sciences, 2006, Vol. 15/56, No 2, pp. 183-191.

[3] https://braukaiser.com/wiki/index.php/Decoction_Mashing






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domenica 7 gennaio 2024

Birra

Con la distinzione delle diverse fermentazioni e dei loro sottoprodotti, è ora di parlare delle bevande derivate dalla fermentazione. Inizierò con la birra visto che è quella con la quale ho maggiori esperienza e con la quale ho iniziato a sperimentare la fermentazione alcolica.

Chiamasi birra, quella bevanda alcolica derivata dalla fermentazione di mosto a base di malto e amaricata con il luppolo. Dove il mosto deve essere derivato dall'ammostamento di malto d'orzo o malto di frumento, il cui contributo di fermentabili non deve essere inferiore al 50%. E fermentata con  lieviti appartenenti alle specie di Saccharomyces cerevisie o di Saccharomyces carlsbergensis.

Quindi la birra essenzialmente è una bevanda alcolica a base di orzo e luppolo. Anche se storicamente, si potevano utilizzare come base diversi tipi di cereali maltati, come la spelta o l'avena. Oltre al fatto che si possono addizionare al malto d'orzo, cereali non maltati, che vengono chiamati cereali crudi, tra i quali spicca il frumento e il mais, seguiti da avena, segale e riso. 


Molte volte le birre possono essere distinte in base al cereale con le quale sono prodotte. Ma principalmente si distinguono in base ai lieviti impiegati, si avranno così tre principali tipologie.

Birre a fermentazione spontanea

Agli albori di tutte le bevande alcoliche vi è la fermentazione spontanea. Questo vale pure per la birra, infatti, perdura ancora oggi uno stile che prevede l'utilizzo di lieviti selvatici per la sua fermentazione.
Questo stile esiste solo nel Belgio ed è conosciuto con il nome di lambic. La particolarità di questo stile sta nell'inoculo dei lieviti che avviene naturalmente, mentre si lascia raffreddare il mosto in dei contenitori larghi e poco profondi chiamati coolship o koelschip, gli stessi tradizionali contenitori che si utilizzavano fino a qualche secolo fa per far raffreddare il mosto e che ancora ne perdura l'utilizzo in Belgio.

Coolship [1]


Molti birrifici che producono lambic, per incentivare l'inoculo tendono a nebulizzare sulle pareti della camera dove si trova il coolship del lambic di loro produzione, in modo che nella camera vi siano sempre abbastanza lieviti per l'inoculo. Altrimenti si aspetta che la magia avvenga naturalmente attraverso l'aria che entra dalle finestre, come si faceva tradizionalmente, dove intorno al birrificio si trovavano alberi da frutta, soprattutto ciliegi, che apportavano naturalmente lieviti.

Il mix di lieviti selvatici portano ad avere una birra molto secca e beverina, dagli aromi complessi dati dai brettanomices e da una spiccata acidità data dai lattobacilli. Per questa variegata flora lo stile ha una fermentazione molto lunga e viene tradizionalmente invecchiato in botte per dare ulteriore complessità. Infatti, dopo un mese di fermentazione, si ha un prodotto che ricorda una witbier, dopo di che l'acidità tende a crescere a causa della fermetazione lattica, finché dopo un anno la birra acquista sentori fruttati e vinosi ad opera dei brettanomices.


Birre ad alta fermentazione

Le birre ad alta fermentazione, sono quelle birre il cui mosto può essere derivato da diversi cereali, come orzo, frumento, avena e segale, maltati e non. Vengono fermentate con lievito S. cerevisiae, il quale tende a fermentare in alto nel mosto, formando una spessa schiuma in superficie nella quale si concentrano la maggior parte delle cellule di lievito. Questa specie di lievito preferisce temperature di fermentazione più miti, tra i 18 e i 32°C.


Questa categoria di birre è storicamente più antica di quella a bassa fermentazione, in quanto le birre a fermentazione spontanea, se non fosse per la loro complessa fermentazione, sarebbero da considerare birre ad alta fermentazione. C'è pure da considerare che esistono pochi stili tedeschi che utilizzano questo tipo di lievito e alcuni sono considerati ibridi. Infatti, da una parte abbiamo le weizenbier, le roggenbier e le hafenbier, rispettivamente birre ad alta fermentazione di frumento, di segale e di avena; dall'altra abbiamo l'altbier e la kolsch, birre ad alta fermentazione prodotte rispettivamente a Dussendorf e a Colonia,  ma che vengono lagerizzate per avere un prodotto più pulito e prossimo ad una birra a bassa fermentazione.

L'alta fermentazione è quella più utilizzata nel mondo, nonché quella di più facile gestione, vista la temperatura. Lo stile che più si può identificare, è quello delle ales inglesi, ormai sinonimo di alta fermentazione, ma bisogna anche ricordare stili belgi come saison e witbier. I quali si distinguono per una complessità olfattiva, con aromi fruttati/floreali, e a volte speziati come con le birre di frumento.


Birre a bassa fermentazione

Le birre a bassa fermentazione, sono quelle birre il cui mosto è derivato principalmente da malto d'orzo a cui può essere addizionato cereali neutri come mais o riso. La loro particolarità sta nel fatto che vengono fermentate con lievito S. carlsbergensis, il quale tende a fermentare sul fondo del fermentatore, oltre a ciò un'altra sua peculiarità è quella di preferire temperature basse per la fermentazione, tra 6 e i 15°C, quindi utili da impiegare durante la brassatura invernale.

Questo particolare tipo di fermentazione fu descritta nel XIV secolo in Germania ed è una conseguenza sul modo di produzione e conservazione delle birre di allora. A differenza del vino la birra teme il calore a causa del suo basso tenore alcolico, quindi i mastri birrai dell'epoca cosa facevano? Utilizzavano grotte, o enormi edifici i cui piani superiori venivano riempiti di ghiaccio in modo che i piani sottostanti fossero refrigerati. In pratica erano delle enormi ghiacciaie, le quali poi scomparvero del XIX secolo con l'avvento dei cicli frigoriferi. Quindi facendo e conservando la birra al freddo essa tendeva durare di più, infatti, questo tipo di birra veniva definita lager, cioè da conserva, per la su lunga durabilità.

Le birre a bassa fermentazione, vengono anche oggi definite birre lager, anche se per essere definite tali devono subire un processo chiamato lagerizzazione, che prevede il mantenimento della birra, una volta terminata la fermentazione, a un temperatura intorno ai 2°C, al fine di incentivare la flocculazione di proteine e lievito, per ottenere un prodotto più limpido e chiaro. Questa tecnica ha garantito per secoli alla Germania il prestigio delle birre più limpide e cristalline in circolazione. Nonché lo stile più conosciuto commercialmente.







Bibliografia

[1] https://beerconnoisseur.com/articles/function-coolship-brewing-wild-ales






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