domenica 29 settembre 2024

Farmhouse Ale - Bière de Garde e Saison

Da quanto visto nel Nordeuropa esiste ancora la cultura della birra di fattoria, o meglio la tradizione da parte di ogni fattoria nel prodursi la propria birra, un po' come qua in Italia c'è chi si fa il vino partendo dalle uve proprie coltivate.

Mentre questo tipo di birra nell'ultimo secolo è stata praticamente spazzata via dall'Europa Continentale insieme a molti stili industrialmente poco redditizi. Ma in Belgio e nel Nord della Francia sopravvivono ancora birre discendenti delle antiche Farmhouse Ale.


Bière de Garde

A metà ottocento le birre in Francia venivano distinti in due classi, principalmente per motivi legali, dove abbiamo: la bière forte (birra forte), tassata a 2.4 fr./hl, e la petite bière (birra piccola), tassata invece a 0.6 fr./hl [1]. La bière de garde ricadeva nella prima categoria e il suo nome stava per  "birra da magazzino" o "da conserva", perché la sua relativa alta graduazione e maggiore luppolazione, la rendeva adatta per la lunga conservazione o per essere consumata quando non la si poteva produrre, quindi in estate. 

In quel periodo la città maggiore produttrice di birra in Francia era Parigi. Qui se ne produceva una da conserva, scura e forte, chiamata bière de Mars, perché prodotta dall'inizio dell'inverno fino in primavera (marzo, non oltre) e consumata dopo 4 - 6 mesi. Questa era tra le birre più forti e più luppolate di Francia, presentava 8.0 - 8.5°B (14.4 - 15.3°Br), per la quale s'impiegavano 700 - 800g/hl di luppolo. Insieme ad essa, dal lavaggio delle trebbie si produceva la petite bière, con un grado iniziale di 2.5 - 3.0°B (4.5 - 5.4°Br) [1].

La seconda città francese come produttrice di birra era Lille, anche qui si producevano due tipi di birra. La prima era la bière forte o de garde, la quale presentava tra i 5 e 6.25% ABV [2] e se ne producevano 72hl da 2000kg di malto, impiegando 26kg di luppolo di Poperinge e 16l di lievito come si può leggere sopra [1]. Essa veniva consumata dopo 6 - 8 mesi e conservata dopo 8 - 10 giorni. Durante questo periodo di conserva, la birra diventava limpidissima e alla fine si presentava con un colore giallo dorato - ambrato scuro. Dalla terza macerazione dei grani con acqua bollente si produceva una birra leggera chiamata petire bière, la quale generalmente non superava il 3% ABV e veniva consumata dopo 4 - 6 settimane.

La terza città francese tra le maggiori produttrici di birra dell'epoca era quella Strasburgo molto più a sud. Qui sui produceva un solo tipo di birra, la quale era divisa in due qualità la bière de Mars e bière jeune. La prima veniva prodotta da gennaio a marzo e consumata in estate, impiegando 32 - 35 kg/hl di malto su birra prodotta e 900 - 1100 g/hl di luppolo (tedesco) [1], presentava una graduazione di 5.0 - 5.6 %ABV [2]; mentre la seconda veniva prodotta tutto l'anno, anche se di meno tra luglio e settembre e consumata dopo 2 - 3 settimane, impiegando 28 - 30 kg/hl di malto su birra prodotta e 600 - 700 g/hl di luppolo (locale) [1].


Oggi queste birre si presentano come delle rustiche birre ad alta graduazione. Presentano tre varianti: chiara/bionda (blonde), scura/marrone (brune) e la tradizionale ambrata (ambrée). Sono birre molto dal profilo maltato, con un'aroma di pane e tostato, esteri medio - bassi; mentre il luppolo è leggero, con sentori speziati e erbacei. Con sapori di malto, caramello, un amaro medio basso, un corpo medio leggero, infatti, si presentano come birre molto dolci, ma abbastanza secche. Generalmente hanno un grado iniziale tra i 14.7 e i 19.3°Br, una graduazione di 6.0 - 8.5% ABV e un'amarezza tra 18 - 28 IBU.


Saison

Così come nel Nord della Francia anche in Belgio si producevano birre a lunga conservazione. Queste birre erano conosciute come bière de saison, perché adatte a tutte le stagioni, relativamente alcoliche e molto luppolate si prestavano bene alla lunga conservazione, ed erano conosciute anche con il nome di saison d'été, perché brassate tra ottobre e dicembre, quando le temperature erano molto basse, e consumate durante l'estate (été). Non si hanno molte fonti storiche su questo stile, anzi stili perché tendeva a variare molto facilmente tra un villaggio ed un altro, ma Lacambre, ci ha lasciato un po' di materiale delle birre forti prodotte in Belgio nella metà dell'ottocento.

Tra queste abbiamo la birra d'orzo di Anversa, prodotta nella medesima città. Dove la miscela di cereali impiegati consisteva per la maggior parte di malto d'orzo, sebbene alcuni birrai includessero un po' di avena (4-6%) e frumento (5-8%). Ma quella buona veniva prodotta con solo malto d'orzo, tant'è che in fiammingo prende il nome di geheele gersten (solo orzo).

L'ammostamento consisteva nell'unire i grani leggermente macinati a un terzo del loro volume di acqua calda, a 48 - 50°C; dopo di che si aggiungeva altra acqua più calda, si mescolava e si lasciava macerare il tutto per mezz'ora. Finita questa fase si percolava il primo mosto, lo si portava ad ebollizione, per poi riunirlo ai grani ed essere così filtrato di nuovo.

Poi nei grani esausti s'immetteva dell'acqua bollente, si mescolava il tutto per un'ora, lasciando riposare per un'altra ora. Da qui si produceva un mosto da 6 - 8°B (19.8 - 23.4°Br). Infine, si eseguiva un terzo ammostamento nelle stessa maniera del secondo, ma di durata minore, dove tutto il liquido prodotto veniva inviato in una caldaia e messo a bollire con il luppolo. 

Molti birrai eseguivano altri due ammostamenti per la produzione di petite bière, la quale presenta un grado iniziale di 3.5°B (6.5°Br). A differenza della birra forte che ne presenta il doppio (12.6°Br). Generalmente la resa era di 1hl da 24 - 26 kg di grani, di cui il 60% di questo volume era costituito dalla birra forte. Il mosto della birra forte veniva bollito per 3 ore e 1/2 - 4 ore (se il mosto non era abbastanza scuro si aggiungeva un po' di calce per scurirlo, 60 - 80 g/hl), mentre la quantità di luppolo impiegata era di 380 - 460 g/hl [1].

Questa birra non veniva mai prodotta in estate e la si consumava dopo 4 - 6 mesi, benché poteva essere conservata per 1 - 2 anni. Un'abitudine un po' curiosa dell'epoca era che non veniva consumata in purezza, ma blendata, unendo birra giovane a birra vecchia, come con le gueuze.

Nelle Fiandre, soprattutto in quelle orientali, si produceva la Uytzet, della quale esistevano due varianti, la singola od ordinaria, usata per il consumo locale, e la doppia, per l'esportazione. Per questa birra si usava esclusivamente malto d'orzo, anche se alcuni birrai usavano piccole percentuali si avena e frumento. 

L'ammostamento iniziava con il mettere uno spesso strato di lolla (questa doveva essere prima lavata con acqua bollente, per evitare sentori di paglia) sul fondo di un tino, sopra di esso si versavano i grani macinati e si faceva fluire l'acqua dal fondo, finché non bagnava completamente i grani. Da qui si lasciava riposare il tutto per 3/4 d'ora, tutto questo avveniva alla temperatura di 60 - 66°C, e il mosto risultante veniva inviato in una caldaia con acqua bollente, successivamente questo mosto veniva rinviato sui grani per essere chiarificato. Da qui si procedeva al secondo ammostamento con l'immissione di acqua bollente nel tino dei grani e lasciando macerare i grani per 1 ora e 1/2. Da qui in poi si facevano altri due o tre ammostamenti sempre nella stessa maniera [1].

Di solito dall'unione di tutti questi mosti si andava a produrre quella ordinaria, mentre impiegando soli i primi due mosti si produce quella forte e con i restanti quella ordinaria. S'impiegavano 667 - 833g/hl di luppolo locale della migliore qualità per la birra forte, mentre per quella ordinaria 500 - 667g/hl di luppolo locale. Il mosto della birra forte presentava 7.25 - 8.00°B prima della fermentazione e una graduazione finale di 5.6% ABV, a differenza di quella ordinaria che ne presentava 4.0% ABV [1].

In Vallonia si producevano birre molto simili a quelle di Anversa, prettamente di malto d'orzo, con l'aggiunta dell'1 o del 2% di avena o farro. Le quali variavano molto di birrificio in birrificio, all'epoca c'era la concezione che più si faceva bollire il mosto, meglio si conservava, tant'è che a Namur, Mons e Charleroi, esso veniva bollito dalle 15 alle 18 ore, ottenendo un mosto piuttosto bruno; a differenza dei birrifici di Verviers che lo facevano bollire per 6 - 8 ore, ottenendo una birra ambrata. Altri invece facevano bollire il mosto per 5 - 6 ore e lo scurivano aggiungendo calce in ebollizione [1].

Per questa birra si usavano luppoli provenienti dalla valle del Mosa o dalle Fiandre e se ne impiegavano 500 g/hl. Mentre per la fermentazione 2 - 3 dl/hl di lievito, dove il mosto presentava un grado iniziale di 5 - 6°B (9 - 10.8°Br). Questa birra fermentava per 3 - 4 giorni, dopo di che si conservava (in botti da 1.5 - 2 hl) e la si consumava dopo 3 - 4 settimane. Questa non si conservava bene, ma quelle di qualità migliore potevano durare 4 - 5 mesi [1].


Come detto però con il tempo i birrifici di campagna scomparvero, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, dove alcuni abbandonarono l'attività brassicola in favore di quella agricola, mentre altri fecero il contrario, il tutto soprattuto fortemente incentivato dalla concorrenza delle birre straniere.

Oggi giorno le saison si presentano come delle birre con colore dorato carico o ambrato, un grado alcolico medio, 4 - 6% ABV, e con sentori fruttati e speziati. Questi sono tipici delle birre ad alta fermentazione dati dall'apporto di esteri, che conferiscono note di albicocca, ananas e banana; mentre lo speziato è dato dal carattere fenolico (chiodi di garofano) dei lieviti belgi, maggiormente accentuabile dall'aggiunta di spezie in bollitura.

L'amaro del luppolo è percepibile, in maniera minore rispetto ad una pale ale. Ma a naso e bocca le note luppolate hanno un intensità medio-bassa. Oltre a ciò le saison risultano abbastanza secche, con un corpo esile, e rinfrescanti. Infatti, tendono ad essere molto attenuata, con un grado finale di 0.5 - 2.0°Br (valore corretto, equivalente a 4.4 - 5.0°Br, valore misurato, partendo da 12.0°Br iniziali), quindi molto attenuate, generalmente bisogna aspettarsi un attenuazione del tra l'85 e il 95%. Le saison standard partono da 12.0 a 16.0°Br, un grado alcolico tra il 5.0 e il 7.0% ABV (molto più alta rispetto le birre vallone di una volta) e un amarezza di 20 - 35 IBU.









Bibliografia

[1] La Cambre, G.; Traité Complet de la Fabrication des Bières, et de la Distillation de Grain, Pomme de Terre, Betteraves, Topinambours, etc.; Tome Premier, Bruxelles, 1856;

[2] Mulder, G. J.; Delondre, A.; De la Bière, sa composition chimique, sa fabrication, son emploi comme boisson; Paris, 1861;






Le informazioni presenti su questo blog sono a scopo informativo, quindi mi esento da qualsiasi responsabilità per i danni che potreste causare.

domenica 15 settembre 2024

Farmhouse Ale - Koduõlu, Lauku alus e Kaimiškas alus

Dopo essere stati in Scandinavia, si scende nei Baltici, paesi linguisticamente parlando molto simili alla Finlandia. E dove anche qua alberga la cultura della birra fatta in casa, soprattutto nelle fattorie.


Birre di fattoria estoni 

Koduõlu appena spillata [d]
Sulle isole estoni di Saaremaa, Hiiumaa e Muhu, viene prodotta la koduõlu, il cui significato è quello di "birra fatta in casa" (õlu = ale = birra). Tradizionalmente per la sua produzione si utilizzava malto d'orzo autoprodotto ed essiccato al sole o su un pavimento riscaldato. Ne consegue che il risultato era quello di un malto chiaro e non affumicato. 

Oggi, la maggior parte dei produttori di koduõlu utilizza malto pilsner, benché ancora c'è qualcuno che lo produce in casa essiccandolo in forno. Questo tipo di birra assomiglia molto al kornøl, con aromi di ginepro e fruttati (banana), un sapore leggermente di lievito, rotondo e delicato, e una carbonatazione leggera.

La maggior parte dei birrai usa il ginepro per filtrare le trebbie, mentre alcuni lo usano solo per l'infuso, benché storicamente per quest'ultimo si usavano: il mirto di palude (Myrica gale L.) e il rosmarino di palude (Rhododendron tomentosum Harmaja) [1].

Come lievito, si usa quello da panificazione Nordic Pärm oppure Pärm Euroferm, quest'ultimo è il lievito finlandese Suomen Hiiva e ciò dimostra come molte koduõlu presentano lo stesso profilo di lievito del sahti. Benché storicamente ogni fattoria estone aveva il proprio lievito, il quale, purtroppo, è scomparso tra gli anni '70 e gli anni '90.

L'ammostamento avviene per infusione con due pause, anche se quello più comune è con una singola pausa, versando acqua quasi bollente sul malto macinato. Mentre per quanto riguarda la luppolatura, alcuni aggiungono il luppolo in ammostamento, altri lo fanno bollire a parte, per creare un infuso da aggiungere a piacere prima o dopo la fermentazione (il mosto non subisce bollitura, come la råøl). Altri versano l'infuso attraverso il trebbie filtrandolo dal luppolo. Comunque il carattere di questo è molto debole, basti pensare che la maggior parte dei birrai usano tra 0.5 - 4.0 grammi per litro, così da avere un'amarezza tra i 5 e i 10 IBU.

La graduazione alcolica si presenta tra 6.5 - 7.5% ABV. Con un grado zuccherino iniziale di 14.7 - 16.1 °P (1.060 - 1.066 SG) e quello finale di 2.1 - 4.8 °P (1.008 - 1.019 SG) [1].

Questo tipo di birra è una piccola parte delle birre di fattoria estoni, ad esempio sulla terra ferma si utilizzavano malti caramellati, come pure l'ammostamento del malto in pani in stile keptinis


Nell'angolo sudorientale dell'Estonia, nella regione di Setomaa, è presente la popolazione dei Seto, la quale produce il proprio koduõlu, utilizzando come base malto d'orzo o di segale di propria produzione. Questo una volta macinato vene impastato, dandogli una forma di pagnotte piatte, che vengono successivamente infornate in forni preriscaldati, per ottenere dei pani secchi quasi neri all'esterno. 

I pani, successivamente sono frantumanti con un mortaio e bagnati nel tino di filtraggio, dove il mosto filtra attraverso la paglia e rametti di ginepro presenti sul fondo, il cui mosto uscente viene riscaldato e fatto filtrare diverse volte attraverso il letto di trebbie.


Birre di fattoria lettoni

Nonostante in Lettonia la cultura brassicola sia molto radicata, dove ogni fattoria produce la propria birra, devo dire che trovare qualcosa a su di essa è stato molto difficile. Ma le birre di fattoria lettoni non si discostano a molto dalle solite birre baltiche.

La lauku alus, che significa "birra di campagna" (alus = ale = birra), la si produce partendo da malto d'orzo autoprodotto, insieme a segale. I quali una volta macinati e impastati con acqua calda sono infornati per ottenere un prodotto abbastanza caramellato, le tempistiche sono empiriche e si va a tatto. Dopo di che si versa tutto nel tino di filtraggio e si lascia riposare per 2 - 3 ora. Alla fine delle quali il tutto viene filtrato dal fondo attraverso paglia e rami di ginepro. 

Come sempre il luppolo, di provenienza selvatica, viene bollito a parte e aggiunto alla fine. Mentre il lievito impiegato è quello da panificazione. Queste birre sono fatte per essere consumate entro una settimana, altrimenti diventano acide. Mentre il condizionamenti in bottiglia avviene tramite un imbottigliamento fatto a poco prima che finisca la fermentazione [a].


Birre di fattoria lituane

Kaimiškas alus. Significa letteralmente "birra del villaggio" (alus = ale = birra) ed è il nome generico con il quale si definiscono le birre di fattoria lituane, gruppo abbastanza eterogeneo.

Tradizionalmente per queste birre si usavo malto d'orzo esastico, maltato in casa ed essiccato al sole o su una grande stufa, andando, quindi, a ottenere un malto molto chiaro. Oggi la maggior parte dei birrai acquista il malto, mentre la preparazione prevede un'ammostamento per infusione, filtraggio delle trebbie e raffreddamento, con successiva aggiunta di infuso di luppolo e fermentazione.

Queste birre sono solitamente dolci, leggermente luppolate, con il sapore del malto tipico lituano e di birra cruda. Mentre il profilo del luppolo è abbastanza distintivo, molti birrai hanno ancora il proprio lievito, anche se alcuni usano lievito da panificazione. Questi lieviti sono stati analizzati, risultando essere: uno Nakazawaea holstii, uno Brettanomyces e quattro Saccharomyces cerevisiae. Dove la maggior parte presenta un profilo fenolico e fermenta a temperature molto alte, come con il kveik.

La carbonatazione nelle kaimiškas alus tende a essere molto bassa, anche se molto spesso questa birra viene conservata in botti ad alta pressione. La quale quando viene spillata assomiglia a porridge finché la schiuma non si attenua.


Prodotta nella Lituania nordorientale, nell'aera introno alla città di Kupiškis, la keptinis, storicamente veniva prodotta anche in Finlandia orientale e in Estonia (continentale), dove ne rimane traccia con i Seto. Quindi, come si può immaginare, l'ammostamento di questa birra prevede la cottura del malto in forno.

I cereali usati sono: orzo, avena e bromo pendulo (cereale molto povero usato come foraggio). Dove l'orzo generalmente veniva maltato ed essiccato sugli stessi forni nei quali lo si ammostava.

Pane di malto [b]
Il malto macinato viene impastato con acqua calda per formare un impasto denso, e posto in teglie, sopra della paglia, formando strati di 17 - 19 cm; alcuni birrai formano dei veri e propri pani, mentre altri fanno solo uno strato spesso. Da qui i pani di malto vengono infornati finché non diventano marroni, segno di una forte caramellizzazione, generalmente per 20 - 30 min. 

Cotti i pani, questi vengono frantumai e posti nel tino di filtraggio insieme a luppolo e corteccia di tiglio (altri parlano di fiori di tiglio). Il tutto viene lasciato riposare per 4 - 5 ore e filtrato attraverso un panno presente nel tino. Storicamente non si parla di aggiunta di lievito (quindi probabile fermentazione spontanea?) Benché una fonte storica riporta l'aggiunta di lievito [b].

Per la produzione di questa birra si usavano 125 kvartas di acqua per 1 pura di malto, ovvero 102 l per 70 kg, quindi 1.46 l/kg [b]. Il risultato veniva descritto come una scura birra marrone, dal sapore agrodolce, densa, appiccicosa e inebriante. Non si è chiari visto che abbiamo a che fare con una birra cruda se l'acidità è data dalla fermentazione lattica oppure dalla forte tostatura del mosto in forno.

Mistinis. Parente della precedente, veniva prodotta per le grandi occasioni, poiché i volumi gestiti dai forni per il keptinis non erano sufficienti. Dove l'inconfondibile aroma caramellato veniva ricreato attraverso l'uso di pietre roventi usate per l'ammostamento.

Il rapporto acqua/malto era molto basso, tant'è che l'impasto "doveva mantenere in piedi un remo". Esso veniva mantenuto caldo attraverso l'aggiunta di pietre roventi oppure palle di ferro, riscaldate con gli stessi forni di produzione del keptinis [d].

Come sempre il mosto non veniva bollito, il quale fluiva dal fondo del tino attraverso bastoni e paglia, mentre le trebbie venivano lavate con acqua bollette. Il luppolo veniva bollito a parte, e l'infuso aggiunto in seguito. La fermentazione primaria durava 12 ore, successivamente si trasferiva il tutto in botte.






Bibliografia

[1] Garshol, L., M.; Historical Brewing Techniques, Brewers Association, 2020

Sitologia

[a] https://fermentables.wordpress.com/2010/06/23/lauku-alus-no-boil-latvian-country-ale/#postcomment

[b] https://www.garshol.priv.no/blog/394.html

[c] https://www.giornaledellabirra.it/stili-di-birra/mistinis-e-keptinis-stili-minori-dai-paesi-baltici/

[d] https://visitsaaremaa.ee/salaparane-saaremaa-koduolu-kuskohast-seda-saab/






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domenica 1 settembre 2024

Ogni tanto faccio qualcosa di buono

Parecchi anni fa, dopo essermi affacciato al mondo dell'homebrewing, notai questo manifesto (a fianco) pubblicizzato da Antonio Golia sul suo blog Homebrewing Condon, blog che seguivo da poco e che in parte ha ispirato il mio. Decisi allora di tentare, e nonostante fossi inesperto candidai una schwarbier, la quale ovviamente non conquistò il podio.

Questa però fu l'occasione per conoscere l'Associazione Culturale Beerstream, la quale aveva sede proprio a Cosenza. La quale per me fu una vera e propria rivelazione, nonché una grande occasione per conoscere altri homebrewer calabresi. Infatti, dopo un po' divenni anche io un associato e iniziai a partecipare ai vari eventi organizzati da essa.

Quest'anno si è ripresentata l'occasione, e visto che negli anni sono un po' migliorato, anzi sono diventato meno esperto di allora. Ho deciso di candidare qualche mia birra. Senza riporre particolare speranza

Ne ho presentate tre, la mia Witbier, apprezzata da molti e fatta con il mio caro grano rosìa; insieme a essa la mia Saison ai fior d'arancio, la quale essendo l'aroma di questi fiori molto presente ho deciso di etichettarla come Spice Beer; infine, la Barley Wine con i datteri Medjoul, etichettata come Fruit Beer, perché nel vero stile barley wine non è consentito l'aggiunta di frutta.

Rogliano (CS)

Ma negli anni l'associazione si è un po' delocalizzata, e dovetti andare a consegnare le mie birre in paese della Presila più a sud di Cosenza. In alternativa avrei potuto inviare le birre tramite corriere, ma vista la stagione calda e la relativa vicinanza a questo paese, decisi di consegnarle a mano.

Vecchia Fiat M4.408, stazione di Rogliano
Quindi qualche giorno prima della scadenza per la consegna, affiancato dal mio caro amico Giuseppe, partiamo alla volta di Rogliano. 

Impresa rivelatasi un po' lunga. Poiché partimmo dalla stazione di Castiglione Cosentino alle 7:34 e dopo cinque minuti eravamo a Cosenza (Vaglio Lise). Da li, dopo 15 minuti di attesa, ci attendeva un viaggio lungo la Presila con un vecchia locomotiva diesel revampizzata (Fiat M4.408) su circa 30km di binari a scartamento ridotto. Fu un po' un viaggio nel tempo, troppo abituato ai nuovi e performanti treni elettrici, questa locomotiva faceva sentire la sua potenza attraverso il pavimento.

Il viaggio da Cosenza a Rogliano durò 46 minuti, passati pigramente tra stazioni fantasma e tunnel in mattoni, intervallati da autentiche foreste di querce e acacie. Scesi al capolinea, decidemmo, vista la buon ora, di fare colazione con calma per poi dirigerci verso il punto di consegna, sito a qualche chilometro più a sud della stazione.

Arrivati al "Service for Packaging", Francesco, il proprietario e anch'egli homebrewer, ci accoglie nel suo negozio. E dopo aver consegnato le birre, ci fa da guida, mostrandoci gli svariati articoli, ma soprattutto essendo rivenditore Uberti Venezia, quelli per la produzione di birra in casa. Infatti, da qui ci fa vedere il suo angolo homebrewing, con il fermentatore e l'attrezzatura scintillante, tutti messi in ordine. Per poi intrattenerci a chiacchierare un po', scambiarci pareri sulle birre prodotte e sugli ingredienti utilizzati. 

Poiché il treno di ritorno era per l'una, ce la siamo presi comoda. Cogliendo l'occasione per visitare un po' la citta e potersi così fermare a prendere qualcosa. Rogliano è un borgo abbastanza caratteristico e turistico. Soprattutto da visitare in estate perché molto fresco, cosa che mi è piaciuto molto. Dopo di che il ritorno fu un po' traumatico il caldo di fece sentire abbastanza con il treno e arrivammo a casa cotti.

Da qui in poi la storia prende una piega un po' bittersweet, infatti, dopo una settimana, sorprendentemente l'associazione mi comunica che una delle mie birre aveva conquistato il podio. La notizia mi spiazzò, perché un po' non avevo riposto molta speranza, poi soprattutto il secondo posto.

E così fu, una birra così semplice come la witbier era arrivata seconda. Ma non potei partecipare alla premiazione, la quale avveniva in occasione della cotta pubblica, organizzata dall'Associazione, presso "Il Brillo Parlante" a Lorica su in Sila.

Tutto ciò perché Ferrovie della Calabria da qualche anno a questa parte ha deciso di sopprimere l'unica corsa per raggiungere questo paesino sito sul lago Arvo. Allo stesso tempo conscio dell'impossibilità raggiungere il paese in bus, chiesi un po' in giro per un passaggio in auto, ma anche la dovetti abbandonare ogni speranza.

Fiat M4.406, stazione di Cosenza

Per di più inseguito mi fu comunicato che anche un'altra mia birra aveva conquistato il podio, si trattava della Spice beer, prodotta con i fior d'arancio, la quale era arrivata quarta. Questa fu molto spiazzante come notizia, si erano classificate ben due birre su tre presentate e avevano conquistato due podi su quattro. Solo che questa essendo quarta non spettava una pergamena lo attestasse, ma solo il premio.

Così a un mese di distanza dall'ultima volta, mi ritrovai di nuovo in viaggio verso Rogliamo, questa volta pero a bordo di una Fiat M4.406, insieme al mio amico Giuseppe e alla sua compagna Teresa. Volti ad andare a ritirare la pergamena spettante del secondo posto e un po' a visitare il paese. Così fu, l'aria fresca della Presila era ristoratrice rispetto alla calura delle colline di Rende, concedendoci qualche passeggiata, per poi ritirarci su rotaia dopo un veloce pranzo al sacco.

Ancora mi fa strano pensare di essere riuscito a vincere con una semplice witbier. Qualcosa di classico, nulla d'innovativo o particolare.

Ma devo dire che le mie birre sono prodotte con il massimo della cura, valorizzo e rispetto gli ingredienti utilizzati. E citando Pierre Celis, il segreto sta nella freschezza.

Malto e cereale sono sempre freschi, il frumento lo acquisto annualmente da un agricoltore locale. Il luppolo è autoprodotto annualmente. Poi il coriandolo, quello deve essere freschissimo, quel poco che mi avanza annualmente viene buttato, c'è una grandissima differenza. Per non parlare delle arance amare, raccolte la sera prima della cotta, come tutti gli agrumi impiegati per le altre birre.

Quindi fate le vostre birre mettendoci voi stessi, state attenti agli ingredienti utilizzati e non fatele solo perché vi da di farvi una birra così. Con l'occasione ringrazio di cuore l'Associazione Culturale Beerstream per l'occasione concessami e così facendo aver dato un maggiore valore a quello che produco. E grazie è arrivato a leggere fin qui.

domenica 18 agosto 2024

Farmhouse Ale - Sahti

In passato le birre di fattoria veniva prodotte anche in Finlandia, là dove si coltivavano cereali, quindi da sud fino a Oulu nel nord. Storicamente si possono distinguere tre tipologie di birre di fattoria finlandesi: una birra piccola (small beer o table beer) senza nome, prodotta con la segale lungo la costa; la sahti una birra d'orzo forte prodotta nell'entroterra occidentale; e il taari una birra debole di segale prodotta a oriente. In quell'epoca i malti come per tutte le birre di fattorie erano autoprodotti e in questo caso venivano essiccati in dei forni a sauna (come con la gotlandsdricke), utilizzando legno di ontano o di betulla che gli conferiva il tipico gusto affumicato delle birre di fattoria scandinave.

Attuale area di produzione del Sahti
Oggi giorno la sahti è l'unica ad essere sopravvissuta, l'etimologia della sua parola è un po' incerta, ma si crede nasca dalla parola germanica saf, la quale è poi mutata nella parola scandinava saft, che significa "succo". 

Mente l'area di produzione, con gli anni si è ristretta alla seguente: che va da Isojoki (ovest) a Mäntyharju (est) e da Jämsä (nord) a Orimattila (sud). La sahti viene prodotto, quasi esclusivamente, con il Viking Sahti Malt, una miscela commerciale, composta principalmente da malto pilsner, con aggiunte di malto pale caramel e di malto distatico (ma un buon sostituto è la miscela 80-90% malto pilsner e 10-20% malto munich); al quale viene aggiunto della segale, tra il 5 e il 10%, in varie forme: normale, tostata o farina. Alcuni birrai usano in alternativa alla normale segale, il malto Tuoppi Kaljamallas, un malto scuro di segale, per scurire e dare un sapore più morbido che sa di pane di segale tostato.


Ammostamento

L'ammostamento della sahti richiede dalle cinque alle otto ore, infatti, localmente si dice che "la pigrizia è una virtù in un birraio". Ma nonostante ciò i mastri birrai di sahti si alzano alle 7. Tutto ciò è legato a un passato dove il malto impiegato era prodotto in casa, quindi richiedeva un lungo e lento ammostamento per ottenere una buona conversione degli zuccheri. 

Oltre a  ciò senza la minima idea di cosa fossero gli enzimi, i vecchi birrai di sahti hanno sviluppato una tecnica di ammostamento che prevede attraverso una lenta aggiunta di acqua sempre più calda, per scaldare gradualmente i grani. In pratica è un ammostamento multisteps, il quale nel caso del sahti si parla si un semplice "bagnare il malto" [2].

Le temperature di ammostamento sono molto empiriche, legate a tecniche passate basate sul saggiare la temperatura dell'acqua con le mani:

  • le aggiunte devono essere di una parte d'acqua per 3.5 parti di grani macinati, o in chiave moderna 1 litro ogni 2kg di malto;
  • ad ogni aggiunta bisogna mescolare bene il tutto e lasciare riposare per una mezz'ora o un'ora;
  • si inizia con il bagnare i grani macinati con acqua leggermente più calda della mano;
  • nel secondo passaggio si impiega acqua talmente calda da poter appena toccarla con un dito;
  • mentre per il terzo, quarto e quinto, l'aggiunta è di acqua bollente;

Alla fine, appunto, è come avere un ammostamento simile a quello per decozione multisteps con pause a 40 - 50 - 60 - 70 e 80°C, per il quale a conti fatti ci vogliono cinque ore per l'ammostamento. Siccome in passato i tini di ammostamento erano in legno, quindi abbastanza termicamente isolanti, oggigiorno vista la difficoltà nel mantenimento di questi tini, si è passati a quelli in acciaio inossidabile e al fine di evitare perdite di calore e quindi di efficienza questi vengono coperti, o addirittura a volte isolati con delle coperte. Mentre si può capire che la sahti è un prodotto abbastanza forte dal rapporto di acqua usato per l'ammostamento, 2.5l di acqua per kg di malto.

Pinze per maneggiare le pietre roventi usate in passato per il sahti [2]

 In passato nella produzione della sahti si impiegavano delle pietre roventi per bollire il mash un po' come con le steinbier, questa tecnica di produzione ci è giunta grazie alla tesi di Carl Niclas Hellenius del 1780. La quale prevede una bagnatura del malto con un po' d'acqua fredda la sera precedente, all'indomani si effettuavano diverse aggiunte di acqua calda fino a raggiunger la densità desiderata. Da qui il mosto veniva scaldato con l'aggiunta di pietre roventi, e dopo aver mescolato vigorosamente (per evitare di bruciare la tinozza di legno) lo si copriva, lasciandolo bollire.

Da quanto riportato Hellenius, veniva impiegata una pietra del peso di sei marchi per ogni kappe di malto, cioè 5kg di pietra ogni 10kg di malto. Oltre a ciò sosteneva che la frantumazione delle pietre nel mosto, dovuta allo shock termico, era dannosa per la salute dell'uomo. E recentemente il birrificio Sahti Hollolan Hirvi ha voluto rispolverare questa tradizione, producendo la Kivisahti (sahti di pietra), per la quale in mastro birraio sostiene che le pietre prima di frantumarsi possono essere utilizzate e che i frammenti vengono filtrati. Questa variante presenta un delicato aroma di fumo e di caramello, dato dalle pietre roventi che caramellizzano il malto [2].


Filtrazione

Esempio di kuurna [a]

 Con la filtrazione avviene la magia e il mosto acquisisce tutte le sue caratteristiche per diventare sahti. Infatti, qua si può vedere il suo forte legame con il passato, i grani ammostati vengono adagiati su un letto di rami di ginepro, che oltre a dare il suo tipico aroma scandinavo, fa da fondo filtrante per il kuurna. Questo, non è altro che un lungo tronco scavato, dove la sua forma stretta e lunga, permette una migliore filtrazione del denso mosto risultante. Però oggigiorno, il kuurna è stato preso in chiave moderna e negli attuali birrifici dove viene prodotto il sahti (commerciale) sono in acciaio inossidabile.


Fermentazione e immagazzinamento

Bottiglia di sathi prodotta da Sahtia [b]

 La sahti non prevede bollitura, quindi si tratta di una birra cruda (raw ale), di conseguenza non è prevista nememno una luppolatura, anche se po' essere aggiunto nel letto filtrante del kuurna insieme ai rami di ginepro. 

Mentre il lievito impiegato, è comune lievito da panificazione della marca Suimen Hiiva. Questo gli conferisce il tipico aroma da weizenbier, speziato (chiodi di garofano) e fruttato (banana); anche se un tempo ogni fattoria aveva il proprio lievito (kveik?). Questi aromi si legano bene a quello dato dai rami di ginepro, descritto come verde, fresco, boschivo e agrumato.

Una caratteristica mantenuta della sahti è quella di essere una birra forte, infatti, ha una graduazione che va da 7.5 a 9.0% ABV, che tende a ingannare facilmente. Presenta nella maggior parte dei casi un colore rossiccio, torbida e da sapore dolce, mitigato dall'amaro del ginepro. Non essendoci luppolo, oppure se usato molto marginalmente, i sapori di malto sono molto marcati, come quelli di caramello e tuffee. Poiché differisce molto di birrificio in birrificio, l'Europa nel concedergli una denominazione protetta si è mantenuta sul requisiti ampi, definendola come: "una birra non pastorizzata e non filtrata di 19°P o più di densità iniziale, 6 - 12% ABV, pH inferiore a 5, per la quale si impiega lievito da panificazione e non da birra, con sapore leggermente dolce e un colore dal giallo al marrone scuro".

Poi essendo una birra cruda, tende ad acidificare, quindi calmatasi la fermentazione primaria il mosto viene spostato in un luogo fresco, per terminare con calma quella secondaria. Così facendo si mantiene per diverso tempo, venendo conservato in taniche da 10l in pp oppure in bottiglie di pet. Solitamente la sahti è intenzionalmente piatto, ma può conservare un po' di carbonatazione naturale.

La sahti quindi è una birra dai sapori molto scandinavi che vale la pena conoscere e provare. Anche se a me ha sempre affascinato la sua tecnica di produzione che oserei dire medievale.






Bibliografia

[1] Garshol, L., M.; Historical Brewing Techniques, Brewers Association, 2020;
[2] Laitinen, M.; Viking Age Brewing, Chicago Review Press Incorporated, 2019;

Sitologia
[a] https://www.lidovky.cz/domov/exkurze-do-sveta-pivnich-libustek.A060313_170602_ln_pivo_hlm/foto/HLM11a341_sahti.jpg
[b] https://it.wikipedia.org/wiki/Sahti#/media/File:Lammin_sahtia.JPG





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domenica 4 agosto 2024

Farmhouse Ale - Maltøl, Gotlandsdricke e Landøl

Per birre di fattoria, o farmhouse ale,  s'intende tutta una serie di birre prodotte nelle fattorie o in zone rurali principalmente per l'autoconsumo e quindi che poche volte sono entrate in commercio.
Queste sono molto legate al passato, ad un'epoca dove ognuno produceva da se, soprattutto nelle fattorie.  Mi fanno un po' pensare ai miei nonni, dove il vino veniva fatto con le uve delle proprie viti e destinato al solo autoconsumo, come pure il pane, prodotto con il proprio grano, dove il lievito madre veniva conservato di volta in volta o scambiato tra vicini.

Birre di fattoria norvegesi
L'esempio di prima si lega bene alle birre di fattoria norvegesi, conosciute con il nome locale di maltøl, che significa "birra di malto" (øl = ale = birra). Esse rispetto alle solite birre europee hanno delle particolarità [1]:
  • il malto generalmente è autoprodotto, soprattutto nella zona di Stjøral, dove ogni fattoria possiede un Såinnhus, cioè una "casa del malto". Si tratta di edifici nei quali avviene l'essiccamento e la conseguente affumicatura del malto autoprodotto. Infatti, in questo edificio è presente il såinn (affumicatore), casseformi in pietra, sormontate da tavole forate di legno di ontano, attraverso cui passa il calore e il fumo del fuoco sottostante, anch'esso alimentato con lo stesso tipo di legno. Sopra queste tavole avviene la lenta essiccazione del malto il quale acquisisce il caratteristico aroma affumicato dato dal legno di ontano;
  • l'acqua utilizzata per l'ammostamento è aromatizzata con i rami di ginepro. Infatti, prima di iniziare l'ammostamento bisogna preparare l'einerlåg o sprakalåg, mettendo in infusione 15 - 20g/l di rami di ginepro, portandoli alla temperatura di 80 - 90°C. Da notare l'infuso non deve bollire;
  • per la fermentazione si impiega il kveik, una coltura mista di lieviti conservata di anno in anno tramite essiccazione. Ogni fattoria ne possiede uno proprio, impiegato da generazione, così da avere caratteristiche uniche, come quella di poter fermentare a 30°C o di essere particolarmente pulito con interessanti note citriche, senza risultare troppo fenolico e estereo.

Mappa della distribuzioni dei vari tipi di Maltøl

Come molte birre di fattoria il maltøl cambia in base alla zona, ma si possono distingue cinque stili principali [a]:
  • Esempio di Stjørdalsöl [a]
    Stjørdalsöl
    , o "birra di Sjørdals", viene prodotta nei dintorni di questa città, vicino Trondheim. Termine prettamente utilizzato quando si parla di questa birra agli estranei, altrimenti tra i locali è conosciuta come maltøl. Presenta una graduazione alcolica tra i 5.0 e i 7.5% ABV, un colore che va dall'ambrato scuro al marrone, piuttosto dolci, maltose e affumicate, carattere dato al molto autoprodotto con l'orzo locale ed essiccato sul såinn, con legno di ontano. La produzione di questa birra inizia con il mettere in ammollo il malto macinato con acqua fredda per una notte, mentre l'ammostamento consiste in diversi cicli in cui il mosto viene colato (run off), scaldato in un bollitore (kettle) e unito ai grani, tutto ciò viene ripetuto finché il mosto non si raffredda o si riscaldo ulteriormente. Il ginepro così come il luppolo sono poco percepibili (entrambi usati per aromatizzare l'einerlåg), infatti, molti birrai usano o solo uno o solo l'altro, oppure nessuno, al fine di far risaltare il malto. Mentre per la fermentazione si utilizza lievito commerciale per pane Idun Blå o lievito lager del birrificio locale di EC Dahl's, a quanto pare il kveik è scomparso negli anni '70. I birrai locali impiegano 300 - 450g di malto per litro di birra e  80 - 90g di zucchero per litro. Il mosto non viene bollito, infatti, terminato l'ammostamento, si assaggia e si regola lo zucchero, per poi lasciarlo raffreddare e procedere all'inoculo. Generalmente la fermentazione dura 4 - 8 giorni, dove la birra viene giudicata pronta con l'assaggio [1]. 
  • Esempio Kornøl [a]
    Kornøl
    , letteralmente "birra di grano" (korn = grano/chicco, il frumento si chiama hvete), viene prodotta nella Norvegia
    nordoccidentale, a Nordfjord e Sunnmøre, impiegando malti chiari, un tempo essiccati al sole. Presenta una graduazione alcolica tra il 6.0 e l'8.0% ABV e una leggera carbonatazione naturale. Sono prodotte utilizzando una miscela al 50% di malto pilsner e malto pale, ma alcuni birrai ancora producono il proprio malto. Tra gli aromi prevale quello inconfondibile del ginepro, dato dall'acqua utilizzata per l'ammostamento infusa con i rami di ginepro e dalla filtrazione attraverso essi. Il luppolo può essere bollito in un po' di mosto (humlebeit), oppure facendo scorrere il mosto caldo attraverso un sacchetto contenente il luppolo; in modo da mantenere basso il contributo di esso; dagli anni '90 in poi, molti birrai hanno iniziato a bollire il mosto, alcuni per un'ora altri per 10-15min, giusto per pastorizzarlo. Il Kornøl solitamente fermenta per due giorni, massimo tre giorni, dopo di che si passa al travaso e alla conservazione al fresco. Questa si presenta come una birra chiara, opalescente e con una schiuma bassa e grossolana; abbastanza dolce e leggermente acida; insieme all'inconfondibile aroma di ginepro, sono presenti aromi di birra cruda, paglia/cereale e il fruttato del kveik, posseduto da ogni fattoria.
  • Råøl, letteralmente "birra cruda", è uno stile diffuso qua e la in Norvegia, infatti può essere trovata nei dintorni di Oppdal, Sunnmøre e a Stranda. Ha la particolarità, appunto, che il mosto non venga bollito, anche se generalmente una parte viene bollita con il luppolo e successivamente aggiunto al mosto crudo. L'impiego di malto affumicato è opzionale, mentre l'utilizzo del lievito varia, c'è chi usa il kveik e chi lievito commerciale. Quindi è uno stile ricco di sfumature accomunato dalla particolarità che il mosto impiegato sia crudo.
  • Esempio di Vossaøl [b]
    Heimabrygg, letteralmente "birra artigianale", raccoglie tre maltøl molto simili tra loro, prodotti nella Norvegia occidentale. Il Vossaøl, "birra di Voss", viene prodotta ne dintorni di questa città e presenta una graduazione alcolica tra i 7.0 e l'8.0%. Per la sua produzione vengono impiegati malti chiari non affumicati, principalmente pilsner, la gente locale ha rinunciato da tempo a prodursi il malto, il quale veniva prodotto in diversi modi, essiccato al sole, o in uno scaffale vicino al camino o in un pentolone di ferro. Si produce con un'ammostamento di almeno 3 ore utilizzando l'acqua con infuso i rami ginepro e il mosto viene filtrato sui rami della stessa pianta. Una bollitura da 3 a 4 ore, utilizzando dosi basse di luppolo, generalmente si hanno 7 - 10 IBU, anche se sporadicamente esistono versioni più amare. Con una resa di 3 litri di birra per chilogrammo di malto. Che porta ad avere una birra ambrata o rossastra, con una leggera carbonatazione naturale, dal gusto di ginepro e l'aroma citrico dato dal kveik. Ad Hardanger, la produzione di Hardangerøl non si discosta da quella di Voss, anche se una ricetta del 1898, dice di bollire la prima parte del mosto con il luppolo e l'ultima per diverse ore un po' come si faceva con le vecchie birre europee. Infine, si ha la Sogneøl, prodotta nei dintorni della città si Sogn, nel Sognefjord, una regione vasta a nord di Voss. Qui il kveik non esiste più e si utilizza lievito comune, mentre la produzione non di discosta dalle precedenti.
  • Telemarkøl, birra di Telemark, prodotta nei dintorni dell'omonima città, sita nella Norvegia orientale. Presenta un peculiarità nell'ammostamento, infatti, i grani macinati vengono lasciati in ammollo con acqua fredda per una notte, per poi avviare l'ammostamento con l'infuso. Seguita da una bollitura da un'ora con il luppolo e fatta fermentare con lievito commerciale o kveik. 

Birre di fattoria svedesi
Del confinante stato della Norvegia non si può dire lo stesso. Infatti, dalla Svezia si hanno notizie di solo un paio di birre di fattoria svedesi, ma che non si discostano molto dalle maltøl.
Mappa della Svezia insieme all'isola di Gotland

Le Gotlandsdricke, che significa "bevanda di Gotland", seconda isola più grande del mar Baltico, facente parte della Svezia, la cui posizione strategica ne ha fatto di un importante snodo commerciale nel tempo. Il nome deriva dalla parola dialettale "dricka", appunto "bevanda" (drink), con il quale storicamente si denominava una birra leggera per il consumo quotidiano. Le fattorie che coltivano cereali producevano questa bevanda, proprio come in Norvegia. Questa usanza, però, scomparve sulla Svezia continentale intorno agli anni '30, mentre sull'isola sopravvive nella parte meridionale.
Storicamente veniva principalmente prodotta birra d'orzo, ma sulla costa orientale e a Fårö si usava anche la segale, mentre alcuni a sud-est l'avena e altri sulla punta meridionale il frumento [1].
  • Tradizionalmente il malto (autoprodotto) veniva essiccato in un forno a soppalco come såinn, mentre altri usavano un forno a due piani, generando dei malti fortemente affumicati. Dove il legno impiegato era di betulla, molto più dolce di quello di ontano, anche se alcuni utilizzavano anche questo. Oggi pochissimi birrai si producono il proprio malto, nonostante ciò molti usano quello prodotto dai maltatori di fattoria.
  • Per quanto riguarda la sua produzione, le fonti sono un po' varie, ci sono versioni di "birra cruda", altre con un normale processo per infusione seguito da bollitura. Il ginepro è come sempre presente, come infuso per l'ammostamento o impiegato per il filtraggio. Sulla costa orientale e a Fårö il ginepro invece è andato in disuso.
  • L'uso del luppolo è un po' vario, si va da 0.05 a 5.00 g/l. Ma mediamente si utilizza 1.0 g/l, dove ognuno coltiva il proprio luppolo e solo recentemente hanno iniziato a usare quello commerciale.
  • Storicamente i birrai di Gotland avevano il proprio lievito (kveik?) chiamato hemjäst (letteralmente "lievito di casa"), andato perso dopo gli anni '70. Oggi si usa prettamente lievito per pane, in particolare della marca Kronjäst.
Come detto precedentemente nella Svezia continentale la produzione di birre di fattorie è estinta da tempo, tra le poche ricette arrivateci, una risale al 1935. La Öxabäck Ale, prodotta nella zona dell'omonima città, a sud est di Göteborg [1].
  • In quella zona il malto veniva essiccato in dei forni simile a delle saune, affumicandolo con legno di ginepro. Ottenendo un malto scuro leggermente affumicato.
  • Per quanto riguarda il lievito, probabilmente si utilizzava qualcosa simile al kveik.
 
Landøl
Da come si è potuto capire le birre di fattoria sono tutt'ora ben diffuse in tutta la Scandinavia, infatti, non poteva mancare la Danimarca. Qui non ha un vero e proprio nome, ma in molti luoghi viene chiamata landøl, che significa "birra di campagna".
In passato veniva prodotto in tutta la penisola e le isole ed era una birra cruda fortemente affumicata, che variava molto di luogo in luogo e di conseguenza questo nome non può essere considerato quello per descrivere uno stile, ma più per raggruppare in generale la birra di fattoria danese [1].
Mappa di produzione del Landøl
Il landøl viene ancora prodotto nella parte orientale di Møn e nella parte settentrionale di Funen. Ma non si hanno notizie su come venga prodotto.
Un'altra birra molto comune prodotta in Danimarca era la grammeltøl, letteralmente "birra vecchia". Questo non era una vero e proprio stile, ma una variante delle comuni birre di fattoria. Si trattava di una versione, molto forte e molto luppolata, quindi adatta alla lunga conservazione; prodotta tra marzo e aprile, come le Märzen tedesche o le Bière de Garde francesi, per poter essere consumate in autunno [1].

Da come si può osservare sono birre molto differenti dalle solite birre europee, accomunate per l'onnipresenza del ginepro, dell'affumicato del malto essiccato in casa; ma molto variegate, ogni fattoria ne produce una propria, con il proprio lievito e a modo proprio.





Bibliografia
[1] Garshol, L., M.; Historical Brewing Techniques, Brewers Association, 2020
Sitologia
[a] https://www.garshol.priv.no/blog/366.html
[b] https://www.brewingnordic.com/farmhouse-ales/heimabrygg-vossaol-farmhouse-homebrews-western-norway/





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domenica 21 luglio 2024

Mietitura e trebbiatura '24

Quest'anno la mietitura non è stata un successo, l'avena è stata colpita dalla ruggine e nemmeno un tempestivo trattamento a base rame l'ha salvata, ma d'altro canto si sa per questo cereale devo andare bene i tempi e non il terreno.

Altra triste sorte è toccata al fumento che non appena maturato, mentre le spighe erano ancora verdi, è stato spazzato dagli uccelli, anche se devo ammettere la voracità che hanno quest'anno non l'avevo mai vista, stanno spazzando ogni coltura.

All'orzo invece è andata bene, è venuto su bene, con spighe piene, senza essere affette da stretta o da qualche malattia fungina. Oltre a ciò si è salvato dalla fame dei volatili, alla fine è un cereale vestito e fa poco gola.

Orzo in piena fioritura ad aprile

Altra particolarità di quest'anno che mi ha un po' sorpreso è che avendo anticipato la semina di venti giorni rispetto al solito, anche la maturazione si è anticipata (ovviamente). Infatti, a fine maggio l'orzo era pronto per essere mietuto, mentre il fumento terminava la sua maturazione.
Covoni di orzo
Comunque con il grano e l'avena andati in malora, mi sono consolato con l'orzo. I primi giorni di mietitura sono stati duri, poiché non ero abituato. Mentre il terzo giorno subii una brutta battuta d'arresto, in quanto durante la notte e tutta la mattinata seguente piovve, bagnando tutto. Con mia grande sorpresa l'orzo raccolto in covoni si bagnò di meno, rispetto a quello rimasto in campo aperto, andandosi poi ad asciugare più velocemente.
In totale mi ci vollero quattro giorni di mietitura, poi uno per far seccare meglio le spighe. Infine, passai alla trebbiatura durata altri due giorni, dove battevo, con la mia solita mazza, le spighe belle calde su di una tela, per facilitarne la successiva raccolta.
Orzo lavato e messo ad asciugare
Poi terminata questa fase, ho provveduto a vagliare il cereale separandolo da paglia e le pagliuzze della spiga. Come sempre per ottenere una migliore pulizia ho lavato l'orzo, per eliminare gli ultimi residui e la terra, ottenendo così un prodotto pulitissimo.
La resa, un po' scarsa, si attesta a 41.7kg  di cereale (dovevano essere 60.0kg), di cui 3.1kg sono stati raccolti a parte per la semina del prossimo anno, selezionando durante la mietitura le spighe più sane e dai chicchi più grossi.





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