domenica 19 febbraio 2023

Chicha

Così come in Europa e Medioriente dalla coltivazione di orzo e frumento nasce la birra, nelle Ande dalla coltivazione di mais nasce la chicha. Questa è per l'appunto un vino o meglio un fermentato di mais e cambia di regione in regione o di famiglia in famiglia, poiché è un prodotto prettamente artigianale al quale si possono addizione spezie e frutta.

La chicha (si pronuncia cicia) nasce nel 5000 a.C., questo è quello che ci viene testimoniato dalle numerose ceramiche, usate per la conservazione di essa, rinvenute negli scavi andini. La bibita era molto apprezzata dagli Incas, i quali credevano che lo stato di ebrezza permettesse di comunicare con gli spiriti e a ciò si lega il fatto che il mais stesso fosse sacro, visto che esso era la base alimentare di tutta la popolazione [2].

Questa bevanda cambiando in base al luogo di produzione, cambia la ricetta e il modo di produrla, avendo così i seguenti tipi.

Chicha (muko)

Per permettere la saccarificazione del mais, tradizionalmente, esso veniva masticato. Questa pratica consiste nel cuocere il mais, macinarlo e poi masticarlo a piccoli bocconi, in modo che questi si impregnino di ptialina, un enzima distatico presente nella nostra saliva. 


I Conquistadores quando sbarcarono sul Nuovo Mondo rimasero disgustati nel vedere questa bevanda prodotta con lo sputo o meglio masticando il mais cotto. Infatti, storicamente è la vera chicha, anche se il nome fu utilizzato dagli spagnoli per descrivere qualsiasi bevanda alcolica a base di cereali e frutta. Essi a loro volta appresero il termine dal caraibico (Arawak) che significava "acqua che fermenta", mentre in lingua Quechua veniva chiamata acca o akka, oppure ancora in lingua Aymara cusa, spesso erroneamente trascritto come cufa, poiché scritta con la s lunga [1] [3].

La produzione di questa chicha storica avveniva grazie alle muccupuccuk, le donne anziane della tribù addette alla masticazione di bocconi di mais cotto, chiamato muko, il quale andava a costituire la metà dell'impasto di cereali. Infatti, una volta impregnato per bene il mais di enzimi, ad esso veniva aggiunta una parte di acqua per renderlo liquidi e lasciato fermentare per qualche giorno.

Una curiosità, fonti storiche raccontano che gli Aztechi producevano una bevanda alcolica con il mais nixtamlizzato molto simile alla chicha, anziché simile al pulque, bevanda simile all'idromele prodotta con l'agave.

Chicha de yuca o Masato

Prodotta dalle tribù amazzoniche dell'entroterra ecuadoregno, è la chicha che ancora mantiene la tradizione di utilizzare la saliva come agente diastatico, ma che prevede al posto del mais l'utilizzo della yuca o manioca. 


Per la sua produzione si parte dai rizomi tuberosi di questa pianta, che vengono lavati, sbucciati e cotti attraverso la loro bollitura. Effettuato questo passaggio i rizomi vengono pestati e masticati. Il composto ricco di amidi gelatinizzati e ptialina viene sciolto in acqua e il quale tenderà con il tempo a maltarsi, va ricordato che l'enzima è attivo a temperatura ambiente con il picco di attività a 37.0°C, e nel frattempo il mosto ricco di zuccheri semplici verrà fermentato da lattobacilli e lieviti selvatici. Per tanto il prodotto finito è una bevanda inebriante e acidula, molto corposa, di colore lattiginosa [5].

Chicha de jora

Questa chicha è una versione più evoluta della tradizionale e viene prodotta in Perù, Bolivia ed Ecuador, utilizzando la jora, cioè il mais maltato. Questa nasce molto probabilmente dall'influenza europea dei Conquistadores, sostituendo la vera chicha prodotta con la saliva.
La ricetta prevede di infondere 1.0kg di jora per ogni 6.0l di acqua calda, lasciando riposare il tutto per 30 minuti e successivamente si fa bollire il tutto per un'oretta. 


Il mosto risultante, lo si filtra con un colino a maglie larghe e si lascia raffreddare. Raggiunta la temperatura ambiente si aggiunge 80.0ml di borra per kg di jora, questa altro non è che il fondo di lievito di una precedente chicha. Dopo tre giorni di fermentazione può essere consumata [7].

Chicha de guiñapo

Chicha peruviana originaria della regione di Arequipa, viene prodotta con la farina di mais morado maltato chiamato per l'appunto guiñapo


La ricetta prevede per ogni kg di guiñapo si utilizzano 6.7l di acqua, nella quale fare infondere la farina fino a portarla a bollore, insieme a spezie a piacere come anice, chiodi di garofano e cannella. Dopo di che si filtra il composto si aggiungono 0.7kg di zucchero e 0.8l di concho, questo altro non è che il fondo di fermentazione di una precedente chicha, cioè il lievito [6]. Dopo dodici giorni di fermentazione la bevanda può essere consumata.


Chicha morada

Prodotta in Perù, non è una vera chicha o almeno non dovrebbe esserlo, poiché questa è una bevanda analcolica prodotta dalla bollitura di mais morado, cioè viola scuro.
Viene servita in vari chioschetti presenti su tutto il territorio peruviano e la si può trovare aromatizzata con frutta essiccata o fresca.






Bibliografia

[1] Bonavia Duccio; Maize. Origin, Domestication, and its Role in the Development of Culture; Cambridge University Press; 2013

[2] https://www.homebrewersassociation.org/beyond-beer/chew-spit-brew-how-to-make-chicha-beer/

[3] https://perpendiculum.blogspot.com/2018/10/la-chicha-storia-cultura-ed-etimologia.html

[4] https://soundsandcolours.com/articles/ecuador/chicha-an-ancestral-beverage-to-feed-body-and-soul-7430/

[5] https://www.youtube.com/watch?v=dio7OskNGRo&ab_channel=comuntierra

[6] https://www.youtube.com/watch?v=0yEKFpIe7xM&ab_channel=LaLuchita

[7] https://www.youtube.com/watch?v=2o9sj3a3Q8Y&ab_channel=VictoriaSourBeer







Le informazioni presenti su questo blog sono a scopo informativo, quindi mi esento da qualsiasi responsabilità per i danni che potreste causare.

domenica 5 febbraio 2023

Coltivazione dei cereali

La base della birra sono i cereali, quindi voglio dedicare questa pagina alla coltivazione di questi. Inizierò con l'introdurre una breve distinzione delle due principali classi:
  • microtermi autunno-vernini, sono cereali che possono essere seminati dall'inizio dell'autunno fino al termine dell'inverno, infatti, vengono pure chiamati cereali della stagione fredda e sono: l'orzo, i farri, i frumenti, l'avena e la segale. La loro particolarità sta nel fatto che le sementi riescono a germinare con temperature di poco sopra lo zero (intorno 5°C), quindi laddove l'inverno non è molto rigido (Italia centromeridionale) possono essere seminati da metà autunno in poi, mentre nelle zone più rigide (Italia settentrionale) bisogna attendere lo scioglimento della neve.
  • macrotermi o primaverili-estivi, sono cereali che possono essere seminati dall'inizio della primavera fino ad inizio estate, per questo, vengono pure chiamati cereali della stagione calda e sono: il riso, il mais, il sorgo e il miglio. Questi sono cereali originali dei climi tropicali, nei quali prosperano tutto l'anno, infatti, prediligono temperature di germinazione sopra i 10°C.


Il suolo

Generalmente i cereali presentano un apparato di tipo fascicolato che potenzialmente può crescere fino a 2.0m in profondità, permettendogli di attingere a gran parte della fertilità residua del terreno.
Prediligono terreni di medio impasto, che tendono all'argilloso, poiché permettono una migliore conservazione delle risorse idriche, e areali con piovosità media annua di 500-700mm, ciò significa che la semina autunnale per i cereali vernini, permette un buon approvvigionamento della risorsa idrica per il periodi siccitosi. Infatti, questi cereali durante il periodo di maggiore intensità delle piogge tendono ad occupare l'intera superficie a loro disposizione, limitando i fenomeni di lisciviazione dei nutrienti dal terreno. 
Un fattore importante per la coltivazione dei cereali, è che essi prediligono terreni con un buon rapporto C/N, in modo che sia presente un alto tasso di humus e migliorare la tessitura del terreno. Un buon livello di humus permette di regolare l'acidità del terreno e favorire l'assorbimento da parte delle piante dei microelementi.

La preparazione del suolo


Al fine di agevolare la crescita dei nostri cereali, il terreno necessita di apposite lavorazioni:
  • la triciatura, consiste nel trinciare, cioè sminuzzare i residui superficiali della coltura precedente, per mezzo di una trincia o trinciaerba. Attrezzo meccanico che con dei coltelli o mazze collegate ad un rotore parallelo al terreno permette la triturazione di tutto ciò che si trova a pelo del suolo. In passato questa operazione era omessa in quanto i residui si eliminavano dandogli fuoco;
    Azione di aratura [2]
  • l'aratura, consiste nello spacco del terreno fino a 40.0cm di profondità e nella sua ribaltazione, al fine di ridistribuire i nutrienti che con il tempo si sono accumulati in profondità diventando inaccessibili alle piante oltre a fatto che questa operazione permette una buon areazione del terreno. Si utilizza l'aratro, attrezzo fisso, composto da vomeri che presentano uno scalpello all'estremità per penetrare il terreno e un versoio che guida il terreno spostato e lo ribalta [2];
    Aratro a tre vomeri [2]
  • un'alternativa all'aratura è la vangatura, cioè nel rimescolamento dal basso verso l'alto del terreno, per mezzo della vangatrice, attrezzo meccanico composto da pale semoventi atte a mescolare il terreno;
    Vangatrice [2]
    Erpice [2]
  • l'erpicatura, è un lavoro di rifinitura del terreno serve a spianare la superficie del terreno per mezzo della rottura delle zolle prodotte dall'aratura. Si utilizza appunto l'erpice, attrezzo fisso composto una serie di spuntoni o piccoli vomeri che penetrano nel terreno. L'erpicatura viene impiegata anche per la rottura e l'eliminazione del manto erboso, oppure per l'interramento del concime;
  • la fresatura o zappatura, è un'alternativa all'erpicatura consiste nel semplice rimescolamento superficiale del terreno fino ad una profondità di 20.0cm per mezzo di una fresa o fresatrice, attrezzo meccanico composto da un rotore parallelo alla superficie del terreno, su cui sono montate delle zappette, le quali ruotando rompono, ribaltano e sminuzzano il terreno.
Fresatrice [2]


La concimazione


Dopo le lavorazioni meccaniche, si ha la concimazione, cioè il reintegro dei nutrienti mancanti nel terreno e necessari al perfetto sviluppo della pianta. Il modo più semplice è quella minerale attraverso la distribuzione dei macronutrienti sotto forma di sali come: il solfato di ammonio (60 0 0) e l'urea (46 0 0), composti con un elevato apporto di azoto; il perfosfato semplice (0 19 0) e il perfosfato triplo (0 46 0), costituti da sali di fosforo, o il nitrato di potassio (13 0 46), sale ad alto contenuto di potassio.
I concimi precedentemente elencati sono monocomponente, ad accezione dell'ultimo che è bicomponente, cioè contengono un o due macronutrienti, ripotanti in equivalente tra parentesi. Insieme ad essi vanno citati i concimi tricomponente, che hanno un uguale o diverso apporto di azoto, fosforo e potassio come  la (20 20 20) o la (20 10 10).

Giunti a ciò, è ora di fare una breve introduzione ai macro e micro nutrienti:

  • l'azoto, può presentarsi in due forme o composti, quello ammoniacale (NH4+) e quello nitrico (NO3--); la prima forma non è sempre biodisponibile per le piante poiché si lega facilmente alle argille, mentre il secondo composto è di facile accesso ed è quello più assorbito dalle piante, sebbene questo debba essere successivamente ridotto in forma ammoniacale. Il suo titolo nelle concimi viene calcolato su quello dell'azoto atomico; si rappresenta semplicemente con il simbolo N, ed è la prima cifra del titolo di una concime. L'azoto serve per lo sviluppo della piante e la sintesi delle proteine, quindi per lo sviluppo delle gemme e delle foglia, in pratica permette avere più verde nelle piante;
  • il fosforo, si presenta nella forma fosforica (PO4---) e il suo titolo nelle concimi viene calcolato con la corrispondente anidride (P2O5), viene rappresentato con il simbolo P ed è la seconda cifra presente su un concime. Questo macronutriente serve principalmente alla fotosintesi ed è coinvolto nella divisione cellulare, oltre al fatto che stimola lo sviluppo delle radici e dei semi;
  • il potassio, si presenta nella semplice forma di anione (K+) e il suo titolo è calcolato nella sua forma di ossido (K2O), è rappresentato dal semplice simbolo K ed è la terza ed ultima cifra del titolo di un concime. Serve per migliorare l'assorbimento dell'acqua da parte delle piante, per rafforzare la pareti cellulari e nella maturazione dei frutti;
  • i micronutrienti, sono elementi che vengono assorbiti dalla pianta i minor quantità, ma non per questo sono da trascurare, in quanto servono alla costruzione degli enzimi, come: il boro, che serve per la riproduzione, il manganese, che attiva gli enzimi di sintesi della clorofilla, il rame, presente nella clorofilla e in altri enzimi e allo stesso modo si può parlare di zinco e ferro.
Quindi nella scelta del concime ricade sul suo titolo o meglio la percentuale in massa dei macronutrienti in esso, composto da tre numeri, rispettivamente per N, P e K, e che è seguito a volte da quello dei micronutrienti tra parentesi. Come ad esempio con il nitrato di potassio precedentemente elencato che ha un titolo equivalente del 13% di azoto atomico e del 46% di ossido di potassio.

In alternativa alla concimazione inorganica o minerale vi è quella organica, per mezzo dell'utilizzo di letame, scarti agricoli, farina d'ossa e cenere. 
Se non si dispone di letame per la concimazione si può ricorrere al sovescio, pratica che consiste nel seminare delle leguminose, come: favino, veccia, erba medica e/o lupino, nell'anno precedente a quello destinato alla semina del cereale. 
Le leguminose durante la loro crescita fisseranno nelle loro radici l'azoto atmosferico, che potrà essere utilizzato per le colture future. Generalmente queste piante fissano tra i 50.0 e 200.0 kg di N per ettaro, quindi una media di 80.0 - 100.0 kg/ha di azoto. 
Le piante da sovescio hanno il loro apice di azoto fissato durante la fioritura, infatti, una volta raggiunto questo stadio la nostra coltura da sovescio deve essere falciata o trinciata e poi fresata nel terreno. Facendo ciò si andrà non solo ad arricchire il terreno di azoto, ma anche di componente organica, portando ad avere un buon rapporto C/N. Comunque insieme al sovescio, se necessario bisognerà integrare potassio e fosforo con cenere o farina d'ossa.
Un modo alternativo per fornire azoto in modo biologico alla nostra coltura cerealicola è quella di consociarla con una leguminosa, questa tecnica è conosciuta con il nome di bulatura, e consiste nel seminare a fine inverno, o comunque dopo che le piante di cereale hanno creato il manto erboso, delle leguminose come erba medica, sulla o trifoglio, nella dose dimezzata solita. In modo che la leguminosa crescendo arricchisca di azoto il terreno in contemporanea alla crescita del cereale che ne usufruisce.

Qui a fianco ho voluto elencare il fabbisogno delle varie colture cerealicole correlata alla loro resa in granella. Si può notare che il farro piccolo ha una richiesta di azoto molto bassa, infatti, mal sopporta i terreni fertili; anche avena e farro medio non ne richiedono molto, poiché se ricevono troppo azoto si allettano.
Il mais invece è la coltura che ha il fabbisogno di azoto più elevato di tutti, ma vista la sua resa è comprensibile. Per questo motivo il mais è coltura depauperante e nelle rotazioni culturali è posto alla fine, oppure prima di una coltura miglioratrice.

Per un calcolo più preciso del dosaggio dei concimi in rapporto alla resa della granella accanto ho elencati i fabbisogni dei principali cerali.





Va aggiunto che la concimazione organica può essere effettuata una sola volta, prima della semina del nostro cereale. Mentre quella inorganica può essere distribuita durate la vita della nostra coltura, in modo da avere una concimazione più efficiente ed efficace; generalmente se ne fa una in epoca presemina, con circa il 20.0% della concime totale richiesta, poi il 40.0% in epoca di viraggio e il restante in epoca di levatura. Per gli orzi da birra l'ultima concimazione è omessa, infatti, si distribuisce il 50.0% in presemina e il restante durante il viraggio.

Da tenere a mente che aumentando la concimazione aumenta anche la resa, e viceversa. Se nella concimazione si eccede con l'azoto, avremo più granella, ma essa sarà ricca di proteine e diminuirà il diametro medio della granella.


Nel grafico affianco si può notare che da uno studio condotto aumentando l'azoto fornito ad un orzo distico la resa aumenta, anche se di poco, allo stesso modo la percentuale di proteine contenute nella granella; ma superati i 40 kg/ha di azoto, la percentuale dei semi con calibri superiori a 2.5mm diminuisce drasticamente [1].



La concia


I cereali come tutte le piante sono soggette a malattie micotiche, come oidio e ruggine, che possono essere curate con prodotti a base di rame o a base di zolfo, dipende al tipo di malattia.
Una forma di prevenzione è quella della concia dei semi, che consiste nel rivestire i semi di poltiglia bordolese o di anticrittogamici, in modo che la pianta nascendo abbia una forma di difesa contro soprattutto le ruggini e insetti presenti nel terreno.
La concia con poltiglia bordolese si effettua sciogliendone 2.0g di 10.0ml d'acqua per trattare 1.0kg di sementi, con la stessa procedura e dosaggio si può sostituire l'ossicloruro di rame alla bordolese. Comunque dopo aver applicato la soluzione si lasciano asciugare le sementi, e così fatto si avrà del cereale conciato per la semina.

La semina

La semina consiste nella distribuzione dei semi della nostra coltura sul terreno appositamente preparato, questa può essere effettuata manualmente o meccanicamente con degli spargitori, e prende il nome di semina a spaglio, i semi distribuiti sulla superficie in seguito verranno interrati per proteggerli dagli animali o da condizioni meteo avverse, per mezzo di erpice normale o a maglie; in alternativa a quella a spaglio vi è la semina a file ad opera delle seminatrici, che distribuisco un numero definito di semi per fila ad una profondità impostata, questo metodo è molto efficace e comodo, e può essere effettuato anche su terreni non lavorati, in questo caso si parla di semina su sodo.

La quantità di cereale da seminare dipende dal tipo, e soprattutto da quante piante si vogliono avere nel campo.
Affianco ho elencato le quantità minime e massime da seminare dei principali cereali, insieme alla loro dose (in massa) per ettaro, vi è elencata anche quella del numero di semi per metro quadrato. Quest'ultima permette di stimare la quantità da seminare basandoci sul numero di piante che si vorranno.
Basterà moltiplicare il numero di semi per metro quadro (N) per il peso di 1000 semi in grammi (P), il tutto diviso per la germinabilità dei semi in percentuale (G), che di solito ammonta intorno al 90.0%, perché non sempre tutti i semi riusciranno a germogliare.
Il numero di piante influenza molto la resa,  infatti, se è elevato esse andranno in competizione per le risorse idriche e nutrizionali e la loro resa si abbassa; mentre un numero di piante troppo basso abbasserà la resa totale del campo; quindi bisogna trovare il punto di ottimo adatto al nostro campo.
Un dato interessante è che generalmente il rapporto paglia/granella resa è compreso tra 0.7 - 1.0 kg/kg o t/t; cioè per ogni chilo di granella prodotta si produrrà tra lo 0.7 - 1.0 kg di paglia.

Il grafico affianco mostra come aumentando la densità di semina dell'orzo distico aumenta la resa, mentre la percentuale delle proteine si abbassa, ma superato un certo punto (400 semi/mq) il diametro dei semi tende a diminuire; quindi possiamo dire che abbiamo un punto di ottimo tra 250 e 400 semi/mq [1].

La raccolta

La raccolta della granella dei nostri cereali può avvenire da inizio estate fino ad inizio autunno, dipende dal tipo di cerale, da quando è stato seminato e dalle condizioni pedoclimatiche. Generalmente un orzo seminato in autunno (metà novembre) lo si raccoglie nella prima decade di giugno; l'avena seminata nella stessa epoca la si raccoglie nella seconda decade di giugno; mentre il frumento e la segale nella terza decade. Oppure un orzo seminato ad inizio primavera (fine febbraio - inizio marzo) lo si raccoglie nella prima decade di luglio. Mentre il mais seminato a marzo lo si raccoglie da agosto in poi. Io generalmente se non sono sicuro dell'epoca di raccolta controllo la granella, se ben secca e si sgrana facilmente procedo alla raccolta.

Un tempo si effettuava la mietitura manuale, che consiste nel tagliare la pianta secca con un falcetto alla base, a circa 5.0cm dal terreno, la manciata piante tagliate (nel mio dialetto chiamata manniceda) veniva sovrapposta ad altre e cinta a metà con due di esse intrecciate e annodate tra loro, questa struttura prende il nome di fascio (gregna nel dialetto). I fasci venivano poi sistemati con le spighe verso l'alto e accumulati in strutture conoidali, cave all'interno, chiamate covoni (timogna nel dialetto); queste strutture avevano la funzione di permettere un ulteriore essiccamento della piante, perché generalmente i tempi di mietitura venivano anticipati in modo da non sgranare le spighe mentre le si maneggiava, comunque se i fasci erano adeguatamente sistemati, si potevano proteggere le spighe dalla pioggia, nell'attesa della trebbiatura.
Terminata la mietitura subentrava la trebbiatura, questa avveniva stendendo i fasci sciolti sull'aia, ampia area pianeggiante atta a questa lavorazione, dove le spighe venivano battute o con delle forche o con dei bastoni alla cui estremità era legato un altro bastone (battitore); un'alternativa a questa era quella di far pestare il tutto da cavalli o buoi legati a un palo centrale e fatti girare in tondo. 
Questa operazione rompeva la spiga, granandola, infatti, finito di battere il cereale si rimuoveva  manualmente la paglia (leggera) e si raccoglieva il battuto (pesante), che veniva cernito con un crivello e pulito dalle pagliuzze per mezzo del vento.

Schema interno di una trebbia [3]

Schema interno di una mietitrebbia [4]

Oggi giorno, invece, il raccolto viene effettuata meccanicamente tramite le mietitrebbie, mezzi composti da una barra falciante e da un sistema interno di battitori (a rullo) e vagli atti a separare la granella dalla paglia. Mezzo secolo fa esistevano semplicemente le trebbie azionate da una cinghia collegata ad un trattore, le quali trebbiavano appunto il cereale mietuto a mano. E poi ci sono io che sprovvisto di mezzi e lavorando piccole quantità mieto a mano per mezzo di un falcetto i miei cereali e li trebbio per mezzo di un bastone e un setaccio, come si faceva tradizionalmente prima dell'avvento delle trebbie.

Comunque una volta trebbiati e puliti i nostri cereali, si possono lasciare un po' al sole per seccarsi meglio e successivamente essere stoccato.





Bibliografia

[1] Il decalogo per la coltivazione sostenibile dell'orzo distico da malto, orzobirra.net;

[2] Le lavorazioni del suolo agrario, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Agraria, 25 marzo 2009;

[3] http://trattoridepocapiacentini.it/stor1trb.html

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Mietitrebbiatrice





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