domenica 11 aprile 2021

Progetto Soresi

Nel 1836 l'agronomo Alberto Linneo Tagliabue, cita il negoziante e agronomo Pietro Soresi, in una traduzione di un trattato sulla coltivazione del luppolo. Soresi di ritorno dai suoi viaggi in Europa decise di costruire un luppoleto proprio coltivando sia quello lombardo (selvatico) e quello bavarese [1].

Ispirandomi a lui decisi di coltivarne sia di selvatico che di addomesticato. Acquistai semi di luppolo selvatico un po' in tutto da tutto il Mondo e in tutta Italia. Ho preferito i semi, innanzitutto per la facilità del trasporto, il trasporto di rizomi possono portare a dei problemi doganali; secondo, utilizzando semi posso avere oltre alle piante femmine anche quelle maschio; infine, posso avere una maggiore disponibilità di selezione di un luppolo adatto al mio clima.

Sopra si possono osservare le seminiere nelle quali sono stati piantati i vari semi raccolti, da sinistra: luppolo dal Centro Italia, luppolo dai Balcani e luppolo dalla Russia. Poi nella foto accanto, nella prima seminiera a sinistra vi sono i semi di Mittelfruh, Fuggle e Saaz, nell'altra altri semi russi.

A questo punto devo aggiungere che dai coni di Mittelfruh, Fuggle e Saaz messi ad invecchiare raccolsi dei semi maturi, così da avere la possibilità di selezionare delle varietà affini a questi, magari quelli del Fuggle si riveleranno di aiuto come lo Styrian Golding per la Stiria. Certo direte, facevo prima ad acquistare dei loro cloni e piantarli, cosa che ho già fatto. Ma il mio interesse ricade sul fatto che questi semi sono stati impollinati da maschi selvatici o inselvatichiti nelle loro zone di coltivazione, quindi cadere nella stessa categoria dei primi semi citati.






Bibliografia

[1] Payen, Chevallier e Chappellet, Trattato sulla coltivazione e sugli usi del luppolo, Milano, Pier Giovanni Silvestrini, 1836.






Le informazioni presenti su questo blog sono a scopo informativo, quindi mi esento da qualsiasi responsabilità per i danni che potreste causare.

Coltivazione primaverile '21

Terminata la raccolta di olive, mi ritaglia un appezzamento ben illuminato nell'uliveto posseduto dalla mia famiglia, per la coltivazione di vari cereali. Decisi di seminarvici principalmente l'orzo distico, in minor parte avena e farro. 

A destra orzo a sinistra avena (ombra) e farro a un mese dalla semina.

La cosa che mi spinse a fare ciò fu il ritrovamento di spighette di orzo distico tra quello acquistato al mulino, decisi così questo inverno di mettermene da parte 8.0kg da seminare quando ne avessi avuto la possibilità. Essendomi ritagliato un bel appezzamento, vi seminai accanto all'orzo dell'avena, poiché non sono mai riuscito a trovare questo cerale fresco oltre che pulito, e accanto a questa vi seminai del farro dicocco.

L'appezzamento destinato all'orzo è di circa 200mq, diviso in quattro stringhe da circa 50mq ciascuna, in esso vi seminai 6.0kg di orzo. In verità ne bastavano 4.0kg in 200mq, ma vi aggiunsi 2.0kg, il 50% in più, per evitare fenomeni di semi non germinabili (circa il 20%) o altre cause. 

Come detto prima accanto all'orzo feci altre due stringhe da 50mq circa, in una vi seminai 1.5kg di avena e nell'altro 1.5kg di farro dicocco. Ho scelto questo tipo di farro, primo perché il farro in pratica è tritico vestito, quindi molto adatto alla produzione di birra, poi perché intermedio tra gli altri farri è il più utilizzato e facile da reperire.

Così facendo andai a creare un appezzamento seminativo di soli grani vestiti, il prossimo anno se ho la possibilità ne farò un secondo oltre a questo di soli grani mondi, quindi grano tenero e orzo distico mondo.

Dopo le piogge di aprile l'avena e il farro iniziano a spuntare (sopra a sinistra), mentre l'orzo cresce sempre più rigoglioso (sopra a destra).






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sabato 10 aprile 2021

Storia del luppolo italiano

Le prime testimonianze riguardo alla presenza in "Italia" di luppolo selvatico risalgono al 1836 ad opera dell'agronomo Alberto Linneo Tagliabue, dove cerca di spronare la gente a coltivarlo in modo da poter uscire dalla dipendenza dell'importarlo dall'estero.

Egli parla soltanto di quello lombardo, infatti, bisogna ricordare l'Italia non era ancora unita, e siamo nel Regno Lombardo-Veneto nato nel 1815 ceduto con il Congresso di Vienna dall'Impero Austro Ungarico, come regno dipendente da questo.


Fig. 1 Nord e Centro Italia fino al 1853

La domanda da porsi perché tanto interessa per il luppolo? Bisogna prima tornare un po' indietro, quando un negoziante di Milano e agronomo, decise di creare il primo luppoleto, o luppoliera come veniva chiamata all'epoca, in questo regno. Quest'uomo era Pietro Soresi, il quale nei vari viaggi in Europa aveva osservato le coltivazioni di luppolo in Baviera, Francia e Inghilterra. Così apprese le varie tecniche di coltivazione, decise di addomesticare quelle selvatiche presenti sul territorio e successivamente d'importare dalla Baviera duemila radici (rizomi), piantandoli in un appezzamento di sua proprietà a Trivulza (MI) [2].

Soresi spinto da motivi filantropici affidò a Tagliabue la stesura di un manuale sulla coltivazione e l'uso del luppolo traducendone uno francese.

In quel periodo molti si cimentarono nella produzione di birra, benché la penisola italiana aveva alle spalle una lunga storia vitivinicola, molti come oggi riconosceva nella birra un'ottima bevanda estiva. Tra questi vi fu Gaetano Pasqui che nel 1835, avviò a Forlì il primo birrificio romagnolo. Anche qui bisogna vedere il contesto storico-geografico, la Romagna, insieme alle Marche, l'Umbria, il Lazio e parte della Campania, facevano parte dello stato pontificio. Essa dopo la seconda guerra d'indipendenza nel 1860 si unirà al Regno di Sardegna.

Comunque il birrificio dell'agronomo Pasqui ebbe delle difficoltà, poiché il luppolo essenziale nella preparazione della birra, veniva importato dalla Baviere o a volte dagli Stati Uniti, a prezzi piuttosto alti per l'epoca. Ciò spinse Pasqui a valutare il luppolo che cresceva selvatico lungo il fiume Rabbi, e nel 1847 dopo l'acquisto di un terreno alluvionale, insieme al fratello iniziò a selezionare e coltivare le prime piantine di luppolo. Permettendo nel 1850 la produzione della prima birra con luppolo italiano [3].

Parallelamente anche nel Granducato di Toscana, vi furono persone interessate alla coltivazione di luppolo. Nel 1838 Gaetano Baroni cita in una delle sue seduta: Raffaello Sparpettini, piore di S. Maria a Castiglioni in Val di Pesa, a sud di Firenze, introdusse in dei terreni poco adatti alla coltivazione della vite, pioppi cipressini come sostegno per la crescita del luppolo; e il marchese Ridolfi, il quale appassionato di agraria decise di cimentarsi nella coltivazione di questa pianta, anziché far crescere il luppolo in verticale come si faceva allora in Germania e Inghilterra, decise di farlo crescere in orizzontale sul del fil di ferro, come si fa con la vite. Ridolfi racconta in una sua lettera indirizzata a Baroni che la luppoliera prospera e che da essa ha avuto dei buoni raccolti, oltre al fatto che con questa tecnica di coltura risulta più facile raccogliere i "frutti" [1].

Dopo l'Unità d'Italia, nel 1876 a Marano sul Panaro (MO) il Marchese Montecuccoli avviò anche lui una coltivazione di luppolo, per la produzione della propria birra. Ma il Marchese non si interessò ai luppoli italiani, bisogna dire che molti storcevano il naso al fatto di utilizzare un'erba selvatica, benché tutte la piante coltivate dall'uomo sono state addomesticate da quelle selvatiche. Infatti, egli utilizzò piante provenienti dalla Boemia e dalla Stiria [3], foto sotto regioni in rosa.


Fig. 2 Impero Austro Ungarico nel 1891

Bisogna anche dire che il Marchese oltre ai possedimenti modenesi, vi erano altri austrici. Dopo di lui molti altri lo emularono, e nel 1908 il Conte Faina nei pressi di Orvieto (TR), 1914 i F.lli Luciani nei pressi di Feltre (BL), 1927 il Comm. Moretti a Piegari (PG) e 1959 l'Ing. Dandoni nel Bresciano. Da qui in poi ogni birrificio aveva il suo luppoleto [3].

Mentre dal 1984 al 1989 con il finanziamento del Ministero dell'Agricolture e dell'Assobirre, furono installati cinque campi sperimentali (Rovigo, Anzola, Osimo, Battipaglia e Palmanova) per valutare la risposta delle colture di luppolo alle diverse condizioni pedoclimatiche [3].

Arrivando al 2014 con Italian Hops Company a Modena, la prima azienda italiana impegnata nella produzione e coltivazione di luppolo, soprattutto quello italiano. Appunto nel 2011 grazie alla collaborazione con il comune di Marano sul Panaro (MO) e con l'Università degli studi di Parma, è stata avviato un programma di ricerca di luppolo autoctono lungo le rive del fiume Panaro [4].






Bibliografia

[1] Baroni, G.; Sulla coltivazione del Luppolo. Memoria letta dal sig. Gaetano Baroni Socio ordinario, nella seduta del 10 Giugno 1838; Continuazione degli Atti dell'I e R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, Volume XVI, Firenze, 1838

[2] Payen, Chevallier e Chappellet, Trattato sulla coltivazione e sugli usi del luppolo, Milano, Pier Giovanni Silvestrini, 1836.

[3] Rigoni Marta, Confronto tra varietà di luppolo da birra (Humulus Lupulus L.) allevate in ambiente friulano, Dipartimento di scienze agraria ed ambientali, Università degli Studi di Udine, A.A. 2014/2015.

[4] https://www.italianhopscompany.com/

[Fig. 1 e 2] https://www.davidrumsey.com/






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giovedì 8 aprile 2021

Luppolo invecchiato

Essendo stato attratto dal lambic, dalla fermentazione spontanea e tutti i misteri che avvolgevano questo stile quando ne appresi la sua identità anni fa. Decisi, visto come elemento indispensabile per questo stile, di invecchiare un di luppolo, quindi nell'inverno '19 acquistai: 250g di Mittelfruh in coni, benché mi arrivò in plug 45 e fu veramente difficile sformarli; 500g si Saaz sempre in coni, il quantitativo era doppio poiché volevo di anno in anno vedere la sua evoluzione; infine, 250g di Fuggle, questo invece lo acquistati, oltre al fatto che è un luppolo che ho sempre amato, ma soprattutto perché volevo utilizzare un luppolo diverso dai soliti nobili.

Mi feci cucire dei sacchetti in poliestere, con delle zip per avere una buona chiusura. Sistemai tutto in soffitta e lascia che il tempo facesse il suo lavoro.

Quello che posso dire è che il cambiamento a livello olfattivo, nell'arco di un anno c'è stato. Si è passati da fortemente resinoso a floreale, arrivando a quello di fieno.

In aggiunta, quest'anno ho acquistato altro luppolo da invecchiare, 250g di Hersbrucker e 250g di Cascade.

La scelta è ricaduta sul Herbrucker, poiché il Saaz al momento è irreperibile. Mentre l'acquisto del Cascade è puramente sperimentale, con entrambi da quest'anno produrrò un lambic ciascuno ogni anno valutandoli qualitativamente.

La tabella sovrastante riassume l'evolversi della percentuale si alfa acidi nell'arco di 3 anni ad intervalli di 6 mesi. Come avrò tempo produrrò il mio lambic con i luppoli freschi e poi li lascerò invecchiare, per il momento li ho sistemati nei loro sacchetti.






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Progetto Gonolycos

Vista l'accidentale impollinazione nell'estate '20 del mio Lycos, lascia alcuni coni maturare i loro semi. Potendone studiare così la loro morfologia, raccolsi un bel po' di questi e li seminai in autunno.


Il problema che sorse fu che quelli messi nelle seminiere germogliarono velocemente, e con l'abbassarsi delle temperature dell'incombente inverno, non sopravvisse nessuna piantina eccetto una. Mentre i semi messi in un vaso e coperti con molto terriccio, riuscirono a superare l'inverno e a germogliare a primavera. Come pure altri semi rimasti nelle seminiere, sopravvissuti poiché li avevo fatto dei fori troppo profondi.


Ciò mi permise di avere 30 piantine, un numero più che sufficiente per me, non mi resta aspettare che crescano, mettano radici e selezionarne quelle femmine.






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lunedì 5 aprile 2021

Lycos '21

Con l'arrivo della primavera i Lycos dai quali raccolsi lo scorso anno i miei primi coni, iniziarono a emettere abbondanti turioni (sotto).


Per ogni pianta lasciai tre turioni da far crescere su una recinsione, guidando le punte lungo lo spago e la rete.



Anche la pianta maschile piantata questo inverno, ha iniziato a vegetare, essa è collocata a 10.0m da quelle femminili, per evitare che mi impollini il raccolto. Conservo questa pianta (sotto) per raccogliere polline da utilizzare per la produzioni di semi.






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domenica 4 aprile 2021

Lambic '21

Da un paio d'anni cerco di far scoccare quella scintilla di vita nelle mie birre senza l'utilizzo di lievito secco, feccia o frutta. Proprio come viene narrano si facesse una volta, lasciando raffreddare la birra all'aperto. Lo scorso anno fallii miseramente, mentre questo qualcosa è successo.


Quale fonte di lieviti scelsi il susino presente nell'orto, lo stesso dal quale lo scorso anno raccolsi da i suoi frutti il blend L1.1, ciò perché la siepe e i broccoli, creavano un area al riparo dal vento e l'albero proiettava una piacevole zona d'ombra per tutta la durata della giornata. Decisi così di preparare qualche litro di lambic e lasciarla raffreddare accanto ad esso.

Ricetta per 7.5l:

0.900kg di malto Pilsner,
0.600kg di frumento.

Turbid mash:

Mash-In a             65°;
Acid rest a            45° per 15';
Protein rest a        52° per 15';
Amylolytic rest a 65° per 45';
                             72° per 30';
Mash-Out a          78° per 20'.

L'innalzamento di temperatura avviene attraverso l'aggiunta di acqua bollente, mentre per il mash-out, si utilizza del filtrato a 88° raccolto dopo il protein rest e l'amylolytic rest. Per l'ammostamento sono stati utilizzati 6.0l di acqua, mentre per lo sparging 4.5l di acqua a 90°, questo per permettere una migliore estrazione degli zuccheri per via della bassa resa dell'ammostamento, che genera un mosto molto ricco di amido e maltodestrine.


Comunque sono andato a raccogliere 9.0l di mosto a 10.0°Br. Per la luppolatura ho utilizzato del Saaz invecchiato di 12 mesi il quale dovrebbe ancora conservare 1.09% A.A. Sapendo che per avere 12.0°Br dovevo raggiungere 7.5l di mosto, optai per una luppolatura di 2.0g/l di luppolo. Raggiungendo 6.0IBU.

Quindi utilizzai:

14.0g di Saaz 1.09% A.A. a 60'.


A fine bollitura misurai che il mosto aveva 12.8°Br, quindi ero intorno a 7.0l. Ma dopo aver lasciato la pentola a raffreddare 8 ore all'aperto, scopri di aver perso un altro litro e raggiunto i 14.0°Br, con l'evaporazione avevo perso un altro litro.

I primi segni di fermentazione si sono fatti vedere dopo 36 ore dopo aver messo il mosto nel fiasco, come si può notare nella foto sottostanti ho utilizzato un fiasco da 5.0l collegato con un blow-off, e il rimanente mosto messo in una bottiglia da 2.0l per il rabboccare il fiasco.


Dopo altre 24 ore la fermentazione è diventata tumultuosa (sotto) e vengono prodotti dai lieviti selvatici vari off-flavors, primo tra tutti quello solforico, tanto tipico delle lager.


Dopo un mese dall'inizio della fermentazione, essa continua a procedere benché di settimana in settimana si va a diminuire l'attività, come è possibile vedere nella foto sottostante.


Mentre l'odore ora è evoluto in quello di una weissbier e un grado zuccherino di 10°Br.




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Coltivazione orzo esastico

 A novembre del '20 approfittai di un riquadro inutilizzate di un orto posizionato vicino a un aranceto, per seminare dell'orzo. Purtroppo avevo a disposizione solo dell'esastico, tentai di acquistare del distico online, ma fu impossibile per due motivi, il primo era che mi poteva essere venduto solo in sacchi da 30.0kg, mentre il secondo era che l'acquisto di un singolo sacco non copriva l'ordine minimo di acquisto. Quindi seminai quello che avevo.

Mi feci fresare un quadrato di 100.0mq e vi seminai 7.5kg di orzo, privo di qualsiasi altro seme. Ciò avvenne sabato 21/11/20, quella notte in grazia piovve e così anche la seguente, continuando per tutta la settimana, dopo tre mesi l'orzo superava i 15.0cm, come nelle foto sottostanti.


Sopravvivendo a tutte le gelate di gennaio e di febbraio, e il mese seguente a marzo, raddoppiare la sua altezza.


Con aprile l'orzo ha iniziato ad emettere le spighe, ma il cattivo tempo di questo mese lo hanno portato ad allettarsi. Nelle foto sotto si può ammirare il campo spigato prima dell'allettamento e il particolare di una spiga.







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Luppoleto

Dopo aver provato l'ebrezza del luppolo fatto in casa, ad ottobre del '20, volli costruire il mio luppoleto. Come materia prima avevo i miei luppoli selvatici, ettari di terreno e dei tubi in acciaio zincato, questi ultimi utilizzati in passato da mio nonno per l'irrigazione. Mancavano solo cavi d'acciaio, redance e cavallotti, nonché dimensionarli per il mio progetto.


Sopra vi sono gli schizzi e i calcoli per la progettazione del mio luppoleto, esso prevede un implemento del 50% della struttura per un eventuale futuro. Scelsi come luogo il limite occidentale inutilizzato di un orto costruito a marzo '20, ciò permetteva di allineare il luppoleto in direzione nord-sud, essendo presente a ovest un uliveto e permette alle future piantine di godere per metà giornata della luce proveniente da est. Esso è posizionato anche in prossimità di un pozzo, permettendo così anche di avere la possibilità di irrigare il tutto.


Il luppoleto è lungo, da tirante a tirante, 12.0m, largo 2.0m e altro 5.6m. La distanza tra i pali è di 9.0m mentre tra palo e tirante si sono 2.6m con un inclinazione di 30° rispetto la verticale e 120° tra i tiranti. Intorno a ogni palo, alla distanza di 0.5m, sono stati sistemati 4 piantine di un'unica varietà. Tra un palo e l'altro invece quattro coppie. Permettendo di poter coltivare 11 varietà di luppolo.

In direzione da sud a nord sono state piantare le seguenti varietà:

Early Bird Goding/Mathon*   [Primo palo]
Fuggle                         [Prima coppia]
Cascade                       [Seconda coppia]
Sorachi Ace                   [Terza coppia]
Hersbrucker                   [Quarta coppia]
Lycos                          [Secondo palo]
Mittelfruh*                    [Quinta coppia]
Saaz                            [Sesta coppia]
IO20/XXX                      [Ottava coppia]
IO20/XXX                      [Nona coppia]
IO20/XXX                      [Terzo palo]

Mathon e Mittelfruh ancora non sono stati ancora piantati, IO20/XXX, sono piantine seminate nel 2020 provenienti dal Nord Italia, dei quali non sono stati ancora identificati i loro generi. Nelle foto sottostati è possibile osservare il nuovo luppoleto ricostruito a febbraio dopo la rottura dei tiranti causati dalla caduta di un ramo.



La ricostruzione mi permise di aggiungere dei piccoli accorgimenti, quali dei cavi più lungi che premettono la formazione della curva a catenario e quindi sopportare meglio il carico, inclinare i pali verso l'esterno del luppoleto, così che una volta caricati non pendano verso l'interno, infine inserire dei cavallotti lungo il cavo, in modo da poter sapere dove vada posizionato lo spago sul quale far crescere le liane.






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